«Noi, ragazzi difficili di Napoli: così ripuliamo i simboli anticamorra»

«Noi, ragazzi difficili di Napoli: così ripuliamo i simboli anticamorra»
di Giuliana Covella
Giovedì 5 Settembre 2019, 07:00
3 Minuti di Lettura
«L'anno prossimo voglio andare anche a Palermo sulla lapide che ricorda Falcone e Borsellino. Voglio trasmettere questo esempio anche ai miei coetanei». Giuseppe (il nome è di fantasia) parla con entusiasmo dell'esperienza vissuta insieme ad altri ragazzi dell'area penale venuti a Napoli. A 17 anni ha alle spalle un vissuto difficile: un reato che sta scontando con una misura alternativa nell'ambito del progetto Amunì di Libera rivolto ai minori sottoposti a procedimento penale da parte dell'autorità giudiziaria e impegnati in un percorso di riparazione.
 
Ieri i ragazzi venuti da ogni parte d'Italia si sono rimboccati le maniche e hanno ripulito la stele della memoria che ricorda le vittime innocenti dei clan in via Cesario Console.

In dialetto siciliano Amunì significa diamoci una mossa. «A Napoli diventa iamm ia - spiega Barbara Cucello, referente nazionale per la giustizia minorile di Libera - qui ci sono ragazzi sottoposti ad autorità giudiziaria perché hanno commesso reati, ma che svolgono la detenzione non in carcere, ma all'esterno in comunità o in famiglia e svolgendo attività di volontariato. Sono arrivati a Napoli per un incontro a livello nazionale a Scampìa, dove rimarremo fino a domenica per confrontarci con le realtà associative del quartiere su temi come legalità e anti-violenza».

Salvatore, Riccardo, Guido, Alberto e Giuseppe (nomi di fantasia a tutela del loro status di minori) sono alcuni componenti del gruppo. Hanno tra i 16 e i 17 anni, non hanno completato gli studi e vengono da diverse città d'Italia: Genova, Torino, Milano e Napoli. Città nelle quali esistono tanti quartieri dormitorio, spesso di periferia, come quelli in cui loro vivono. «Abbiamo commesso degli errori - dice Riccardo - ma abbiamo avuto una seconda opportunità e vogliamo coglierla». Molti sono al primo reato e seguono un percorso con Libera all'interno di un progetto educativo più ampio che il Tribunale, insieme agli assistenti sociali, prevede per ciascuno di loro. C'è chi spacciava o addirittura faceva uso delle sostanze stupefacenti che vendeva ai clienti, come Guido. Chi ha commesso scippi o rapine o ha dovuto scontare una pena per aggressione. Storie di un recente passato che vogliono gettarsi alle spalle, guardando a una nuova vita: «Non ci va di essere etichettati. Ora vogliamo essere da esempio per i nostri coetanei e far capire che la scelta della delinquenza e dell'illegalità - afferma Alberto - non paga. Se siamo qui a pulire da fango, rifiuti ed erbacce una stele con i nomi di chi è stato ammazzato dai clan è già una vittoria per noi».

Tra i presenti all'iniziativa il presidente della Fondazione Polis don Tonino Palmese, alcuni familiari delle vittime della criminalità come Bruno Vallefuoco e Antonio D'Amore, referente provinciale di Libera. «Nonostante il degrado che circondava la stele - dice don Palmese - abbiamo bisogno di una memoria che sia riparativa. Speriamo che quella di quei morti possa guarire le coscienze di questi ragazzi, ma soprattutto quella terribile malattia che è l'indifferenza». Gli fa eco Vallefuoco: «Grazie a questi ragazzi si ridà dignità a quel luogo. Ma che siano stati loro a farlo è una sconfitta per la città». Per Fabio Giuliani, referente regionale di Libera «era già stato denunciato lo stato pietoso della stele intorno alla quale ci sono diverse responsabilità, ma ci rimbocchiamo le maniche insieme a questi ragazzi che col loro gesto stanno educando noi cittadini». «La stele rappresenta un patrimonio della città, perché ricorda il sacrificio di tutte le vittime innocenti - aggiunge il parlamentare Paolo Siani - è significativo che i ragazzi dei campi estivi di Libera abbiano sentito l'esigenza di restituire al decoro quello spazio».
© RIPRODUZIONE RISERVATA