Napoli, scomparso a 18 anni ed eliminato come un boss. Parenti sotto choc: «Forse ha visto qualcosa»

Napoli, scomparso a 18 anni ed eliminato come un boss. Parenti sotto choc: «Forse ha visto qualcosa»
di Daniela De Crescenzo
Sabato 20 Febbraio 2016, 10:04 - Ultimo agg. 21 Febbraio, 14:09
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Non era un camorrista, Vincenzo Amendola e forse non era nemmeno «un angelo» come ripete incessantemente il padre. Non aveva nemmeno uno straccio di precedente penale, ma a scuola era uno che dava continuamente fastidio specialmente ai ragazzi più piccoli. Nulla di grave, per carità. Perché il problema, concordano quelli che lo hanno conosciuto, era nella sua testa che aveva molti meno anni di quelli che risultavano all'anagrafe. Non era cattivo, tutt'altro. Ma non era furbo e nel Bronx se non sei furbo, se non dai il giusto peso alle parole, magari diventi un pericolo. E puoi anche morire.Perché era questo, Vincenzo Amendola, un ragazzo del Bronx, uno dei tanti, più debole di tanti. «Era un ragazzo, ma ragionava come un bambino - spiega don Franco Perna, il parroco del rione - era curato dalla famiglia, vestiva bene, ma era più piccolo della sua età». 

E lo zio, Vincenzo Rinaldi racconta: «Era un ragazzino ed era benvoluto da tutti, a scuola non voleva andare e per questo, d'accordo con le assistenti sociali, i genitori lo avevano mandato per qualche tempo in una casa famiglia nei dintorni di Benevento». Poi era tornato e, come dice il padre Giuseppe «Passava le sue giornate qua, nelle stecche». Non andava a scuola e non aveva nemmeno un lavoro. «I soldi glieli davo io, che sono un povero cassintegrato». Non aveva passioni particolari, giocava un po' a calcio come tutti i ragazzi, ma niente di più. Eppure nel bronx era popolare, dice il padre: «Era benvoluto da tutti». Ed era molto legato alla famiglia: sul braccio aveva tatuato il nome della sorellina più piccola, Elena. Una vita come tante, una vita da figlio di un dio minore, come molte di quelle che si trascinano nelle maledette stecche di Taverna del Ferro, un pugno di case e niente altro, un tempo regno incontrastato dei Formicola, uno dei clan importanti della zona, come quello dei Rinaldi. E Rinaldi è anche il cognome della mamma di Vincenzo, Anna. 

Forse anche per questo, quando si è saputo che era stato ammazzato con un colpo in fronte, i media hanno pensato a lui come ad un piccolo boss. E piccolo lo era davvero, Vincenzo, soprattuutto di testa, ma del boss non aveva né la ferocia né la «cazzimma», come si dice da queste parti.Non era un camorrista, era un ragazzo come tanti. Solo che questo ragazzo la notte del 5 febbraio non è tornato a casa. «Abbiamo pensato che si fosse fermato da un amico - racconta il padre - però non ci aveva telefonato e questo era strano. Quando la mattina dopo non è tornato abbiamo dato l'allarme». Poi gli amici hanno organizzato una fiaccolata con l'aiuto della parrocchia. Nel manifestino che pubblicizzava l'iniziativa i ragazzi del bronx avevano scritto che bisognava «onorarlo», come se fosse già spacciato. E dice don Perna: «Già all'indomani della scomparsa, il 4 febbraio, nel quartiere lo davano per morto il 12 abbiamo organizzato una fiaccolata per lui e io ho chiesto a chi poteva dare informazioni utili di parlare, magari anche in forma anonima». Non si è fatto avanti nessuno. Niente di strano. La paura da queste parti è un vestito che non ti strappi mai da dosso. Quindi tutti pronti ad onorare, ma nessuno capace di dire una parola, di far filtrare una qualunque informazione.Tutto normale. Tutto normale soprattutto adesso che ai boss si sono affiancati gli aspiranti boss, quelli che vanno in giro da gradassi e si divertono a intimorire, quelli che non ragionano e sparano per nulla. 

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