Napoli, in scooter senza casco a piazza Mercato: la sfida allo Stato

Napoli, in scooter senza casco a piazza Mercato: la sfida allo Stato
di ​Pietro Treccagnoli
Venerdì 11 Agosto 2017, 09:15
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A veder scorrere le immagini di piazza Mercato, con gli insensati rodei di centauri minorenni senza casco, mentre poco lontano stazionano vetture delle forze dell'ordine, più impotenti che indifferenti, a vederle moltiplicate sul web si scatena solo tristezza. È la solita Napoli, cialtrona e beffarda, che presta il fianco, impudica e irredenta, a letture folkloristiche, stereotipate, da leggenda nera, ma purtroppo vere e incancellabili, che opprimono perennemente la città. 

La prima lettura non lascerebbe dubbi: lo Stato si è arreso anche di fronte alla sfida dell'illegalità spicciola, alle corride guappe, alla simulazione delle stese, dove il toro da infilzare è il rispetto delle regole e ogni olé è un pernacchio alla Legge. È così. È anche così. Ma la verità, come in un collaudato romanzo giallo, non è sempre quella che appare al primo sguardo. 

Le immagini, riprese da un balcone, mostrano un carosello di scooter che ha trasformato in una arena i bàsoli della storica piazza di Masaniello e dei Martiri giacobini, la piazza che non solo non si riesce a restituire al glorioso passato, ma nemmeno a un presente di dignitosa igiene, di sicurezza quotidiana, di vivibilità al minimo sindacale. Due auto delle forze dell'ordine stazionano dal lato di palazzo Ottieri e della chiesa di Santa Croce carica delle memorie di Corradino di Svevia. Stanno lì e non fanno nulla.

La verità nascosta dietro l'evidenza, la prima evidenza, è che non possono fare nulla. Sono là per deterrenza, certo, ma anche per compiere altro, non per elevare multe. Giocare al gatto e al topo potrebbe essere addirittura pericoloso, mettendo a rischio l'incolumità di chi scappa. Basta una sterzata mal calcolata dagli spregiudicati minorenni, una frenata brusca, un'accelerazione insensata e si cade, battendo con la testa scoperta. E chi vorrebbe correre questo rischio?, spiegano a mezzavoce i residenti. A tutto si aggiunge l'insufficienza se non la totale mancanza di depositi dove tenere gli scooter sottratti ai trasgressori. Il mezzo viene formalmente sequestrato, ma è di fatto riaffidato al proprietario che continua a usarlo come meglio crede. 

La tolleranza zero mal praticata, estemporanea, improvvisata può essere più dannosa della tolleranza tout court. Il punto centrale, il nodo gordiano da tranciare, è l'assenza di un minuzioso controllo quotidiano che, lamentano tra il Mercato, il Carmine e il Lavinaio, latita da lustri. La sanzione alle infrazioni al codice della strada tocca alla polizia municipale che non può sempre pretendere supplenze. Purtroppo siamo abituati da tempo alla retorica della città che si attacca sul petto la medaglia della legalità. Retorica che fa il paio, senza timore di contraddizione, con quella della città ribelle. È lo stucchevole elogio di una diversità pur'essa stereotipata, folkloristica, logorata da un uso smodato.

La legalità ha un prezzo, costa. E soprattutto va praticata, non solo declamata aspettando surroghe. Richiede fatti e non parole. Scelte che possono costare consenso. È, invece, più semplice ed elettoralmente conveniente, lasciar perdere. Perché non è solo piazza Mercato l'epicentro della strafottenza su due ruote. Senza voler andare nelle periferie, basta risalire una qualsiasi delle strade dei Quartieri Spagnoli, a ridosso della turistica via Toledo, o immergersi nel Rione Sanità, dai Vergini risalendo ai Cristallini o ai Cagnazzi oppure allungandosi alle Fontanelle, ma anche infilandosi nei cardini dei Decumani, per tacere di via Chiaia di notte con i motorini fanno le vasche da piazza Trieste e Trento fino a Palazzo Cellamare per una forma di corteggiamento da giungla d'asfalto, basta frequentare la città a tarda sera per sentirsi assediati e rincorsi dal rombo dei motorini, per capire che la ribellione della città non è contro ipotetici poteri forti, ma contro le più banali e necessarie forma di convivenza. 

Dietro le immagini di piazza Mercato che paiono evocare un'apparente indifferenza o una resa sbadigliante c'è una verità più rozzamente semplice. È il tempo immobile, fermo, congelato di una città in preda a un passato che non passa. Dove far rispettare le regole riguarda sempre altri. Dove quando si può (e non si dovrebbe) si delega. Dove la paletta del rigore devono alzarla sempre gli altri perché per sé stessi si riservano le parate.
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