Il giretto prima di ogni altra cosa. Su e giù, avanti e indietro, in sella agli scooter, in modo frenetico, sempre nella stessa zona, lì tra i vicoli dei Quartieri spagnoli. Eccoli, come in un flipper impazzito, berretti con visiera (o caschi a mo' di scodella), scarpe vistose (che non sfuggono alle telecamere della zona), tatuaggi: mosche in un barattolo, non passano inosservati.
Sono quelli del commando armato che ha seminato il terrore mercoledì pomeriggio, colpendo e ferendo (anche in modo grave) due passanti, due lavoratori estranei alla camorra, rimasti coinvolti in un probabile regolamento di conti tra bande che infangano Napoli. Immagini al vaglio degli inquirenti, che puntano a stringere il cerchio attorno ai presunti responsabili del ferimento di Enrico De Maio (artigiano e scultore di riconosciuta esperienza professionale, tuttora in ospedale per un proiettile all'altezza dello stomaco) e Vittorio Vaccaro (un proiettile lo ha centrato alla spalla).
Ci sono dei sospetti su un gruppo di quattro elementi che abitano in zona: sono stati tradotti mercoledì notte in Questura, per la prova dello stube, poi sono stati rilasciati, dopo aver dato inizio ad accertamenti su alcuni indumenti (scarpe, magliette, cappellini), per verificare se corrispondono ad alcuni frame ricavati dalle telecamere di sorveglianza. C'è un'ipotesi al vaglio degli inquirenti, che basta da sola a tenere alta l'attenzione su quanto avvenuto a Napoli mercoledì scorso: tra i sospettati c'è anche un minorenne, un adolescente che avrebbe svolto un ruolo, probabilmente di ripiego o di supporto logistico all'azione criminale culminata nel ferimento di due passanti. Ipotesi al vaglio della Dda di Napoli (indaga il pm Urbano Mozzillo), che coordina il lavoro della Mobile del primo dirigente Alfredo Fabbrocini, si prova a ricostruire lo scenario di terrore che si è abbattuto a Montecalvario.
Poche settimane fa è diventata definitiva la condanna a 16 anni e otto mesi a carico di Francesco Valentinelli, ritenuto responsabile dell'omicidio di Gennaro Verrano, nel novembre del 2017.
Una storia, la sua, che va ad inserirsi nel clima di odio alimentato attorno a questi vicoli e a questi conflitti familiari. Proviamo a tornare indietro di qualche giorno. Diventa definitiva la condanna di Valentinelli per l'omicidio Verrano, la cui famiglia è data dagli inquirenti come molto vicina ai Nocerino, a loro volta non in buoni rapporti con i Mazzanti-Valentinelli. Famiglie, nulla più: non sono clan - come chiariscono tramite i loro legali - non sono gruppi in guerra, anche se in queste ore sono al centro del pressing investigativo successivo alla sparatoria di mercoledì. Famiglie o membri di gruppi familiari che si lanciano messaggi di sfida, che ostentano odio reciproco, che presidiano le rispettive zone di competenza. Siamo a pochi passi da via Toledo, nel cuore dello struscio cittadino, nel pieno del motore economico di una città che prova a risollevarsi dal covid, quando i killer decidono di entrare in azione.
Sono in quattro su due scooter, hanno incrociato il loro target, il loro obiettivo. Probabilmente alle loro spalle hanno anche altri scooter di supporto, quando decidono di aprire il fuoco e di scatenare l'inferno. Hanno un mandato di morte, devono portarlo a termine, quando esplodono almeno dodici colpi in una delle zone più trafficate del mondo. Sparano e non ammazzano il loro rivale (quello di sempre), ma feriscono gravemente due passanti. Brutta storia ai Quartieri, c'è chi giura che la vendetta non è ancora finita.