Napoli capitale delle stese di camorra: così i proiettili cambiano i confini dei nuovi clan

Napoli capitale delle stese di camorra: così i proiettili cambiano i confini dei nuovi clan
di Gigi Di Fiore
Domenica 26 Novembre 2017, 12:41 - Ultimo agg. 18:20
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Spari, botti, esplosioni. Dal Rione Traiano, ai quartieri orientali fino al centro storico sono diventati suoni e rumori familiari. È la nuova frontiera del crimine cittadino. Sono le «stese», neologismo tutto nostro che descrive l'ostentazione di una sterile violenza, la spedizione a bordo di scooter con spari alla cieca. Mostrare i muscoli, per segnare un territorio, costringere i passanti a mettersi stesi a terra per coprirsi impauriti.

Scrive la Direzione investigativa antimafia, nella sua ultima relazione: «Le stese sono scorribande armate ed esplosioni di colpi di arma da fuoco». Quante sono state le «stese» negli ultimi due anni, quale è la mappa di questo fenomeno criminale che caratterizza i nuovi e giovani gruppi criminali di Napoli città? I numeri, tra denunce e segnalazioni, parlano chiaro: 52 «stese» dal 2016 a oggi. Numeri e azioni, che danno il quadro delle aree calde nei fermenti criminali cittadini. Cinque zone, soprattutto: Rione Traiano (dodici «stese»), Sanità (undici), San Giovanni a Teduccio-Barra-Ponticelli (undici), Quartieri spagnoli (nove), Forcella e centro storico (nove).
 


I numeri offrono quantità, danno spunti di letture criminali. Ieri, nella sua intervista al Mattino, il ministro dell'Interno, Marco Minniti, ha offerto la sua lettura: «In questi anni, abbiamo inferto colpi duri alla camorra e una parte dei capi sono oggi in galera. Sono esplose medie e piccole forze dei clan che naturalmente rappresentano un problema insito nella natura camorristica, una deriva di gangsterismo».

Dietro questa analisi, ci sono storie e nomi. Il Rione Traiano, oggi principale piazza di spaccio cittadina succeduta a Scampia dove si è concentrata più attenzione giudiziaria, sono da tempo finiti i predomini indiscussi dei capiclan Mario Perrella e Salvatore Puccinelli. L'intera area occidentale, che comprende anche Fuorigrotta, Bagnoli, Soccavo, Pianura, ha superato le egemonie di clan come i D'Ausilio o i Lago. Ci sono i giovani, con gli scantinati dove si confezionano le dosi di droga da vendere. I Puccinelli sono un nome da ostentare, ma i vecchi capiclan non sono liberi. I giovani si rifanno al loro nome, ma cercano di affermarsi con le «stese». Ben cinque in 36 ore il 27 giugno del 2016. E a farne le spese è spesso gente che non c'entra nulla con queste logiche. Dieci agosto dello scorso anno, restano feriti il diciannovenne Valentino Esposito che era dinanzi al bar «Angelo» e la venticinquenne Anna Pulcrano, che al primo piano della sua casa stendeva i panni lavati da asciugare. Una «stesa» con otto bossoli, sparati all'impazzata. Il tre giugno precedente, ben 70 colpi contro una palazzina di via Romolo e Remo che mise ko le tubature idriche.
 
Alla Sanità, l'ostentazione gangsteristica si fa dramma. Il 6 settembre 2015, rimane ucciso il diciassettenne Genny Cesarano, per una «stesa» ordinata dai Lo Russo di Miano a cercare Pietro Esposito capoclan della Sanità. Questo quartiere vive numeri da record, più volte denunciati dal presidente della Municipalità, Ivo Poggiani. Quasi nessuna strada è risparmiata dai raid: vico Cangiani, vico Canale, i Miracoli, via Arena non lontano dalla pizzeria «Concettina ai tre santi». Lo scenario è «fluido», come scrive la Dia. Lo storico capoclan Peppe Misso è collaboratore di giustizia. Ai clan storici dei Savarese, Sequino e Vastarella, si affiancano famiglie nuove, come i Mauro. Ma nessuno ha il polso e l'autorevolezza per tenere a freno i giovani, controllando l'intero quartiere.

E scrive con cinico realismo la Dia: «Si conferma l'abbassamento dell'età degli affiliati e dei capi, con la trasformazione dei clan in gang, più pericolose per la sicurezza pubblica rispetto a quanto accadeva in passato, quando ogni gruppo era in grado di mantenere l'ordine sul proprio territorio, frenando ogni iniziativa estemporanea da parte di altri sodalizi». Uno scenario ancora più evidente a Forcella e nel centro storico. Qui i fratelli Giuliano sono collaboratori di giustizia da più di quindici anni. Vivono altrove e parenti di secondo e terzo grado ne sfruttano il cognome. È l'area dove è stato coniato il termine «paranze dei bambini», con nomi come i Sibillo, o i Buonerba. Il 31 dicembre 2015, una «stesa» a piazza Calenda ha ucciso un altro innocente: il ventisettenne Giuseppe Russo Maikon.

«Si spara più a Napoli che a Baghdad» diceva Gennaro Buonerba in un'intercettazione. E anche i Quartieri spagnoli sono in fermento, dopo il pentimento di Marco Mariano, il più giovane dei fratelli, tutti detenuti, dello storico clan egemone. L'ultima «stesa» solo due giorni fa, ma il 10 ottobre scorso venne esploso un ordigno rudimentale sotto un palazzo al largo Baracche. Masiello, Mazzanti, Ricci sono famiglie di spaccio, che non hanno il peso criminale dei Mariano o di quelli che furono i loro avversari: i Di Biase. Per questo, forse, come scrive la Dia, sono ancora più pericolosi. E come non ricordare che Petru Birladeanu, trentatreenne suonatore romeno, fu la terza vittima innocente di una «stesa» partita dai Quartieri spagnoli: ucciso il 26 maggio del 2009 dinanzi la stazione della Cumana in piazzetta Montesanto. Ma la location più famosa, impressa dalle telecamere dei carabinieri, di una «stesa» resta la zone orientale. Anche qui lo storico clan Sarno è sfaldato, tra pentimenti e capi al 41-bis. «Attenzione a sottovalutazioni della camorra ridotta nelle narrazioni a fenomeno di giovani gang metropolitane» ammonisce il procuratore capo, Gianni Melillo. Eppure è questa la criminalità cittadina, ben diversa dai clan mafiosi strutturati della provincia. Cinici e silenziosi.
 

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