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Città della Scienza, sui ruderi dell'Italsider la fabbrica dei debiti

di Antonio Menna
Articolo riservato agli abbonati
Sabato 5 Ottobre 2019, 08:07 - Ultimo agg. : 12:40
4 Minuti di Lettura

Ventiquattro milioni di debiti. Così era stata lasciata Città della scienza, quando è stata commissariata dalla Regione. Sei milioni di esposizione con le banche, sette con i fornitori, otto con il fisco, per varie partite tributarie. Per fortuna c'erano anche dieci milioni di attivo circolante. Ma il differenziale dava un segno rosso per quattordici milioni di euro. Durante la gestione commissariale dei mesi scorsi il deficit si è ridotto e oggi i conti sono in rosso per ventuno milioni di euro, con un attivo di nove. Sono numeri da bancarotta, se non fosse per una buona dotazione patrimoniale.
 
Gli ottantasei dipendenti da sette mesi percepiscono lo stipendio regolarmente. Ma hanno mensilità arretrate del 2017 e addirittura del 2011. Se non entrano rapidamente risorse fresche, ovviamente dalle istituzioni, potrebbe essere scritta la parola fine per una fondazione che per vent'anni ha sognato un'altra Bagnoli possibile. «Investiamo 16,5 milioni per tenere in piedi Città della Scienza», ha tuonato il presidente della Regione, De Luca, dando una notizia buona e una cattiva. La buona è il risanamento. La cattiva per alcuni - è che si apre una operazione verità. «Chi ha portato Città della Scienza in questa situazione? si domanda il governatore -. Quelli che l'hanno gestita, a conferma del fatto che essere scienziati non significa essere capaci di gestire, fare i conti, tenere i bilanci, tenere relazioni sindacali». E qui la stoccata arriva dritta al cuore.

Il mare, la storia, i ruderi industriali, la tradizione operaia, quell'aria un po' svagata di otium intellettuale tra i Campi flegrei e Posillipo, uno spritz e le sudate carte. Nella teoria aveva tutti gli elementi per il radicalismo chic tanto caro a molti ex Pci. Sul sudore delle acciaierie costruiamo la divulgazione scientifica: un museo, un giardino didattico, una mostra permanente, un centro di formazione, un centro congressi. Non manca nulla. Perfino il design post industriale, minimalista il giusto, elegante il necessario. È in fondo il grande sogno di un ogni vecchio proletario: fare il figlio professore. Solo che il figlio dell'ex Italsider ha sbagliato qualcosa, se dopo 23 anni ne parliamo ancora come un progetto mai del tutto compiuto e sull'orlo del fallimento finanziario. Un sogno smarrito, tra conti saltati e conflitti interni. Una lunga storia in rosso. Rosso antico, rosso politico, rosso dei numeri. È proprio un futuro remoto, quello di Città della scienza, grande archivio di buone intenzioni che su Bagnoli figuriamoci su Napoli ha trasferito meno di quanto atteso. Doveva emulare l'Exploratorium di San Francisco e la Cité des Sciences di Parigi: più di un museo, un centro di vitalità creativa, un incubatore di nuove opportunità territoriali, che facesse da traino allo sviluppo economico. Dalla malinconia dismissione di Ermanno Rea al sogno produttivo e scientifico di Vittorio Silvestrini. Se l'idea era la trasformazione, il volano che univa scienza e territorio, conoscenza ed economia, missione fallita, bisogna dirlo. Basta farsi un giro nell'immediato perimetro delle ciminiere ancora visibili dell'acciaieria. Oggi, da Via Napoli a Coroglio, è terra di aperitivi ultraeconomici, di movida povera, di bivacchi e disco dance. Che cosa ha portato Città della scienza al territorio, alla sua ricchezza, alla sua crescita? Quanto ha restituito alla città? Molto per le scuole, poco per il lavoro, tanto per la didattica, poco per l'economia. Intanto, però, sappiamo quanto ha preso.

Il primo accordo istituzionale, il vero atto di nascita, è datato 25 febbraio 1993. La Fondazione Idis, nata sull'onda del successo del festival Futuro Remoto insieme alla Cuen, presenta il primo progetto alla Regione Campania e al Ministero dell'Università. Su tre lotti dell'ex Federconsorzi può nascere Città della Scienza con un investimento pubblico di circa 120 miliardi di lire. Il primo lotto di finanziamento arriva dalla Regione il 17 settembre 1993, nell'ambito dei Fondi europei nel programma Siderurgia, nato proprio per riconvertire ex aree siderurgiche. Il ministero dà il via libera al resto del finanziamento. Partono i lavori. Tre anni e nel 1996 si inaugura il primo lotto funzionale. Ma bisogna attendere il 2001 perché Città della scienza si inauguri nella sua versione definitiva e il 2003 per il completamento con l'apertura del Centro Congressi, del Centro di Alta Formazione e del Business Innovation Centre. Completato l'investimento iniziale, grazie alla legge 113/91 per il sostegno ad attività culturali, e alla legge regionale 19/89, che sostiene Futuro Remoto, arrivano le risorse per la gestione corrente: 700 milioni di lire l'anno per il 1989, solo per quest'ultima iniziativa. Comincia anche un complicato intrigo burocratico tra assorbimenti, dismissioni, fusioni, separazioni. «Nonostante i copiosi finanziamenti si legge in un dossier della Fondazione - che la Regione destina alla società consortile nel corso del 2005, 2006 e 2007, i risultati economici della gestione saranno sempre in perdita». Nel 2008 la Regione Campania mette circa 3 milioni di euro, come contributo straordinario. Nel 2010 si chiede un nuovo aiuto. Ma non arriva. Nel 2013 arriva, invece, l'incendio che distrugge quattro dei sei capannoni. Poi è storia recente: un nuovo accordo di programma, fondi per ricostruire, la riattivazione del percorso, nuove attività (Corporea, il Planetario) ma anche scontri sul destino della ricostruzione stessa. I conti sono sempre in difficoltà. Mesi senza stipendio per i dipendenti, picchetti e scioperi. Un anno e mezzo fa l'allarme sui debiti. Arriva un commissariamento, poi, nei giorni scorsi, un nuovo Cda, che appena nato, è già contestato. Ma lo scontro passa per la verità delle cifre. E come ben sanno gli scienziati: le parole sono opinabili, i numeri sono certi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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