Napoli, strage di San Giovanni. Computer, fumetti e musica: il sogno spezzato di Nicola

Napoli, strage di San Giovanni. Computer, fumetti e musica: il sogno spezzato di Nicola
di Nico Falco
Venerdì 17 Luglio 2015, 08:48
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Sgomento, tristezza, ma soprattutto incredulità. A San Giovanni Teduccio, in via Ammiraglio Aubry, ventiquattro ore dopo la scoperta della strage, la gente non riesce a capacitarsi della tragedia che si è abbattuta sui Cuozzo, una famiglia da tutti considerata assolutamente normale e, per quanto si potesse vedere dall'esterno, senza particolari problemi.



I rari passanti, arrivati davanti al condominio, alzano appena la testa per cercare con lo sguardo la casa dove sono stati trovati i corpi, poi proseguono senza fermarsi. L'abitazione in cui è stata compiuta la strage era quella in cui anni fa avevano vissuto i genitori di Anna Daniele, passata poi alla donna che vi si era stabilita con la sua nuova famiglia. Anna, 51 anni, aveva sempre vissuto in via Ammiraglio Aubry, nella zona erano in molti quelli che la conoscevano. «Era una persona solare, - racconta un'amica - anche se con gli estranei era sempre abbastanza riservata. Ma con chi la conosceva non aveva mai manifestato preoccupazioni particolari. Certo, le cose in famiglia non andavano sempre bene, ma per quanto ne sapevamo noi si trattava di discussioni banali, di quelle che nascono in seno a tutti i nuclei familiari. Niente che potesse far immaginare quello che sarebbe poi successo». «Se ci avesse chiesto aiuto - replica un'altra donna, visibilmente commossa - avremmo potuto fare qualcosa. Intervenire o almeno aiutarla a trovare una soluzione. Ma niente, non sapevamo nulla».



Nel pomeriggio alcuni amici e parenti si sono recati in visita dalla sorella della vittima, che abita nello stesso palazzo. Parlano poco, anche per rispetto ai familiari, ma tutti sono concordi: una famiglia come tante, riservata e perbene. Cesare Cuozzo, 53 anni, il capofamiglia, aveva lavorato come bidello in una scuola. Poi aveva avuto un problema a una gamba, che lo aveva portato al prepensionamento. Nemmeno i vicini di casa sapevano che fosse in cura per problemi psichici. «Quando andava al lavoro - racconta un uomo, venivano a prenderlo in taxi. A volte c'erano amici o colleghi per aiutarlo a scendere le scale, visto che non c'è l'ascensore. Ma sembrava una persona tranquilla, nessuno scatto d'ira nè altro, sempre gentile». Nessuno riesce a spiegarsi cosa abbia potuto portarlo, nella notte tra lunedì e martedì, a prendere una pistola che chissà come era riuscito a procurarsi e ad aprire il fuoco contro la moglie e il figlio, per poi rivolgere l'arma contro se stesso. Anna era casalinga, in passato aveva saltuariamente collaborato con un semiconvitto in zona che qualche anno fa era stato chiuso. La spesa al supermercato di zona, il cornetto al cioccolato al bar a quattro passi per quel figlio che era sempre al centro dei suoi pensieri. Nicola, diciassette anni: ne avrebbe compiuti diciotto ad ottobre. Frequentava l'istituto alberghiero Cavalcanti, nello stesso quartiere. Un ragazzo tranquillo secondo il racconto di chi lo conosceva. Alla strada e alle amicizie pericolose, frequenti nei quartieri della periferia, aveva preferito computer, fumetti e amici con cui condividere queste passioni.



Sulla sua pagina Facebook ci sono le foto del Comicon, i disegni di Corto Maltese, citazioni, scatti insieme agli amici e alle amiche.
Disegni, canzoni, sorrisi spensierati e scene di vita quotidiana di un ragazzo che tra poco sarebbe diventato maggiorenne. Scriveva Nicola appena qualche giorno fa sul suo profilo: «Se dopo la mia morte volessero scrivere la mia biografia, non c'è niente di più semplice. Ci sono solo due date – quella della mia nascita e quella della mia morte. Tutti i giorni fra l'una e l'altra sono miei».
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