Napoli, il terrorismo urbano per ottenere prestigio sociale

di Isaia Sales
Martedì 4 Giugno 2019, 12:00
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In Italia la delinquenza minorile e giovanile si presenta come problema innanzitutto delle grandi città e delle loro periferie. Napoli è la terza città per numero di abitanti, la seconda area metropolitana per popolazione complessiva e ha generato alcune delle più estese e complicate periferie.

Ma rispetto a ciò che avviene a Milano, a Roma o a Torino, che detengono insieme alla città partenopea il maggior numero di procedimenti a carico di minori e presentano un analogo sovraffollamento urbano e un analogo livello di degrado e di disagio delle periferie, a Napoli la questione della violenza minorile e giovanile ha una sua indubbia originalità.

La prima differenza è la seguente. Il concetto di periferia a Napoli non è geografico ma sociale. Napoli è l'ultima grande città italiana ed europea a mantenere una estesissima periferia al centro del suo sistema urbano, una periferia nel cuore del centro storico. Cioè un livello di evasione scolastica alto, un degrado delle abitazioni, un tasso di disoccupazione simile a quello delle zone più esterne, un numero elevato di figli per famiglia e un numero altrettanto elevato di parenti in carcere o già sottoposti a precedenti penali. Se nelle altre grandi città ci si sposta dalle periferie esterne per cercare le proprie vittime nel centro della città, a Napoli si assiste a un duplice «attacco» sia da parte di quelli che vengono a fare incursioni da «fuori», sia da parte di chi già vive al «centro».

Una seconda differenza è questa. Se in altre grandi città italiane (ed europee) la questione minorile è anche espressione di una difficile integrazione di varie ondate migratorie, a Napoli essa è una questione indigena, interna, locale. A Milano e a Torino (e in alcune altre medie città del Nord) le gang minorili e giovanili sono per la maggior parte composte da figli di stranieri, a Napoli la violenza dei minori è quasi esclusivamente questione di famiglie di napoletani. Quindi non siamo di fronte ad un collasso sociale e civile dovuto ad apporti esterni, ma ad una rottura di equilibri tutta interna alla città. Oggi si può parlare a ragione di un redde rationem della città con la sua storia, una implosione che si manifesta appunto attraverso forme e modalità particolari della criminalità minorile e giovanile. Dunque, in questo momento, in relazione all'ordine pubblico e alla sicurezza urbana, a Napoli non sembra essere prioritario integrare gli stranieri e i loro figli, quanto integrare nella loro città una parte dei suoi stessi abitanti. Infatti, la terza differenza viene di conseguenza rispetto a quanto descritto sopra. Se nelle altre città, i comportamenti violenti si manifestano anche da parte di ragazzi provenienti da famiglie borghesi, a Napoli invece c'è quasi il monopolio di atti violenti da parte di ragazzi di famiglie sottoproletarie o di collocazione sociale disagiata. Non sempre è stato così e non è detto che sarà sempre così. Non siamo di fronte a una violenza per noia, per insoddisfazione, per deprivazione relativa di membri di famiglie che hanno comunque conquistato il benessere; non un malessere da agiatezza, ma figlio del degrado sociale e della deprivazione culturale e civile. Problemi che in altre realtà sono stati superati dall'integrazione culturale, sociale ed economica. Che a Napoli manca, non è mai avvenuta e forse neanche è stata mai tentata. E non ci sono i mezzi per farlo.

Legata a questa c'è una quarta differenza. Se in altre parti d'Italia i reati dei minori hanno moltissimo a che fare con il consumo e lo smercio della droga, a Napoli la maggior parte riguardano (oltre la droga) rapine, scippi, estorsioni, uso di armi, omicidi e tentati omicidi. Reati predatori per eccellenza e reati di dimestichezza con la criminalità organizzata. Se in altre città ci si sballa e ci si eccita con la droga, a Napoli se ne fa uno strumento di potere e di ascesa sociale.

Perché (e siamo alla quinta differenza) mentre nelle altre città la violenza giovanile può rappresentare un'esplosione dei propri istinti che vengono successivamente governati e disciplinati dall'incrocio con altre circostanze (affettive, lavorative, di modelli culturali e civili), a Napoli il percorso della violenza sembra non conoscere mitigazione successiva o abbandono per altre opportunità. Non è dunque uno sfogo momentaneo, legato a un disagio passeggero: è violenza di prospettiva, è violenza identitaria, non è occasionale o fisiologica, ma è un qualcosa su cui investire come stabile orizzonte di vita. 

Già a fine Ottocento le statistiche segnalavano un primato della città partenopea per minori sottoposti a denunce, condanne e ricoveri in istituti preposti. La differenza con oggi è che Napoli (assieme alla sua provincia) si segnala tra le città con il maggior numero di minori coinvolti in procedimenti per 416 bis. Si tratta di cifre ridotte, certo, ma ci sono più implicati in fatti di mafia tra i minori napoletani che nelle altre zone di insediamento mafioso. Purtroppo non esiste a Napoli una separazione netta di spazi, di età, di attività, di ambienti sociali tra violenza minorile e criminalità degli adulti. I minori si presentano come allievi in formazione permanente dell'esercito camorristico. 

E se in altre città l'esperienza in istituti di pena minorili non si tramuta necessariamente in continuità delinquenziale al raggiungimento della maggiore età, a Napoli e provincia una gran parte dei ragazzi che hanno commesso reati passano poi nelle carceri per adulti. La recidiva si presenta come continuità tra la minore età e quella adulta e come continuità sociale tra le esperienze dei singoli e quelle delle loro famiglie. Si stanno svolgendo ricerche a questo proposito (cioè sul grado di continuità criminale tra minore e maggiore età) e i primi dati sono impressionanti.

I dati che colpicono di più sono i seguenti: è considerevole il numero di minori in istituti di pena che non ha completato la scuola dell'obbligo, è altrettanto rilevante il numero dei provenienti da famiglie numerose, è altissimo il numero di chi ha un genitore, un fratello, un nonno o uno zio in carcere. I minorenni delinquenti sono in linea di massima figli, fratelli o nipoti di pregiudicati. Essi hanno cominciato prestissimo l'acculturazione illegale, per strada e in famiglia. 

In conclusione, la violenza a Napoli è sì espressione di malessere sociale, di disagio urbano, di deprivazione culturale, ma rappresenta anche una grande opportunità lavorativa, di benessere e di prestigio sociale. Fino a quando avrà queste caratteristiche sarà complicato sradicarla. E le baby-gang di oggi potranno essere i clan di domani.
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