Napoli, buco da due milioni: la truffa degli stilisti sponsorizzati dai vip

Napoli, buco da due milioni: la truffa degli stilisti sponsorizzati dai vip
di Viviana Lanza
Martedì 10 Settembre 2019, 23:00 - Ultimo agg. 11 Settembre, 14:59
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Un buco di oltre due milioni di euro, sei indagati destinatari di misure cautelari e il sospetto dell’esistenza di una struttura criminale organizzata per distrarre capitali e portare società al fallimento in maniera truffaldina. Sullo sfondo, la storia di un marchio di abbigliamento, Bonavita, indossato da vip in Italia e all’estero. Si parte da San Giovanni a Teduccio e si arriva agli uffici della Procura di Napoli. Ieri la svolta nell’inchiesta coordinata dalla sezione Criminalità economica (pm Maria Sepe, procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli) e affidata ai finanzieri del nucleo di polizia economico-finanziaria, agli ordini del comandante Domenico Napolitano.
 
Sono tre fratelli gli imprenditori agli arresti domiciliari dall’alba di ieri mattina con l’accusa di bancarotta fraudolenta. Sono Giuseppe, Francesco e Umberto Bonavita, rispettivamente di 45, 43 e 41 anni e residenti i primi due Portici e il terzo a San Giovanni a Teduccio. I provvedimenti cautelari sono firmati dal gip Anna Tirone che ha condiviso la tesi accusatoria, nei prossimi passaggi dell’inchiesta gli indagati potranno difendersi e chiarire la propria posizione.  Il gip, inoltre, ha stabilito la misura cautelare dell’obbligo quotidiano di firma nei confronti di tre donne, accusate di aver fatto da prestanome per la gestione sulla carta di alcune delle società finite all’attenzione degli inquirenti. Si tratta di Rosa e Assunta Bonavita, di 38 e 42 anni, e di Laura Scognamiglio, di 41 anni. Disposto il sequestro d’urgenza della società gestita dagli indagati e attualmente attiva, e sono state eseguite quindici perquisizioni. È su quattro società che si sono concentrate le indagini, quattro aziende che si sarebbero avvicendate nei fatti su cui hanno indagato Procura e guardia di finanza. 

La Bonavita, la Gfu, la Hombre, la Dako, di cui gli inquirenti hanno ripercorso fasi societarie delineandone compagini sociali, trasformazioni, modifiche dell’organo amministrativo fino alle nuove società costituite ad hoc, secondo l’accusa, per riversarne beni e poste attive e proseguire l’attività commerciale, in particolare la Domino e la Bona unipersonale tuttora operativa.

Le indagini in seguito al fallimento delle quattro società, a vario titolo riconducibili agli indagati che si sono avvicendati nel tempo nei diversi ruoli di amministratori legali. Al lavoro dei finanzieri si sono aggiunte le relazioni dei curatori fallimentari e le sommarie informazioni fornite da alcuni creditori. Approfondendo i legami tra gli indagati, gli inquirenti sono arrivati a ipotizzare l’esistenza di “una organizzata struttura criminale”. C’era un metodo attraverso cui gli indagati avrebbero realizzato la bancarotta fraudolenta distraendo capitali per 2 milioni e 450mila euro. Le indagini hanno ricostruito il meccanismo sostenendo che gli indagati, alternandosi nelle compagini sociali abbiano puntato all’acquisto di società inattive da tempo o comunque con un diverso oggetto sociale per svuotare gradualmente le società in attivo e smembrare le società fallite. Resta invece in parte nel mistero quale sorte abbiano avuto tutte le ricchezze sottratte all’erario e ai creditori, tutti i flussi di capitale circolati attraverso le società. C’è un vuoto. L’inchiesta ha svelato un retroscena, e cioè che le società sarebbero state gestite “in totale assenza di trasparenza” e in diversi casi in violazione delle norme sulla predisposizione e il deposito dei bilanci societari e con una contabilità tenuta in maniera “inadeguata e confusa” sostengono gli inquirenti, “e tale da rendere particolarmente difficile una completa ricostruzione del patrimonio e del volume d’affari delle società”. 

La storia imprenditoriale dei fratelli Bonavita ripercorsa dagli inquirenti comincia nel 2007. Parte da San Giovanni a Teduccio. I tre investono nel settore dell’abbigliamento e creano un marchio con il loro nome, Bonavita. I loro capi in alcune foto pubblicate sui social vengono indossati anche da personaggi noti, come il campione Mike Tyson e Fabrizio Corona (estranei alla vicenda). Intanto i negozi hanno sorti altalenanti, e si arriva ai tempi recenti, alla bancarotta, agli arresti e alle ricostruzioni ora al vaglio di accusa e difesa
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