Covid a Napoli, ecco gli stakanovisti del vaccino: «Turni di 12 ore e contenti»

Covid a Napoli, ecco gli stakanovisti del vaccino: «Turni di 12 ore e contenti»
di Antonio Menna
Martedì 12 Gennaio 2021, 23:30 - Ultimo agg. 13 Gennaio, 12:02
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C’è una generazione di giovanissimi medici a Napoli nord che sta facendo una gavetta da brividi nel corpo a corpo con il Covid, e riempie della sua emozione verde e piena di futuro, l’incredibile partita della pandemia, dalla brutale e dolorosa malattia alla primula del vaccino. È la meglio gioventù di questo territorio: camice bianco, mascherina, occhi che ridono dopo 12 ore di fila di lavoro, senza mai perdere la concentrazione e conservando, a fine giornata, come fossero ragazzi comuni, la voglia di fare un selfie e pubblicarlo sui social. Pollice alto in segno di vittoria, l’orario è quello della sera, le ventidue e ventotto, si intuisce il sorriso sotto la maschera, si capisce che hanno raggiunto un obiettivo, e poi un foglio e un numero: 593. Sono i vaccini fatti presso il centro dell’Asl Napoli due nord di Frattamaggiore: tutti somministrati, il 100% delle dosi ricevute, e loro sono i giovani dottori, ancora studenti della specializzazione, che hanno fatto una corsa a perdifiato per un obiettivo che è qualcosa in più di lavorare, è costruire la speranza. 

Alessandro, Rossana, Ilaria, e tanti altri. Una squadra di vaccinatori entusiasti che finita la prima scorta è già pronta a ripartire. Dietro le loro maschere, storie di periferia battagliera, di famiglie preoccupate, di personalità di ferro, di sogni che non stanno tra le nuvole ma nelle mani piagate dalla fatica. Che gavetta, questo Covid, che dolore, Ma che esperienza indimenticabile. «Io sono quello che scatta la foto e nell’altra mano tengo il foglietto con le cifre», dice sorridendo Alessandro Varrera, 30 anni, di Frattaminore, laureato due anni fa, poi specializzando in medicina generale. «Abbiamo fatto uno scatto quasi di liberazione a fine giornata.

Obiettivo raggiunto, abbiamo corso come i pazzi. Dovremmo fare turni di sei ore ma lavoriamo ogni giorno almeno 12/13 ore. Oggi è il primo giorno di pausa ma solo perché attendiamo le nuove dosi. Poi si riparte». Non c’è l’ombra di un lamento, nelle parole di questo ragazzo. Ma solo il desiderio di continuare. «Io sono impegnato col Covid – racconta – dal 28 marzo. Ho risposto a un bando dell’Asl per le Usca. Sono stato tra i primi ventuno a entrare in servizio. Per mesi ho fatto i tamponi al drive in di Giugliano, poi a Frattamaggiore. Quando è partita la campagna vaccinale, mi hanno scelto come coordinatore di Frattamaggiore. Siamo tutti giovani, divisi in cinque ambulatori. Dovremmo lavorare su turni da sei ore. Ma andiamo avanti senza sosta. Undici giorni di lavoro di seguito, mai un riposo. Non guardiamo l’orologio. Le dosi scongelate vanno somministrate, e la gente in fila va accontentata. Non ci fermiamo». Nessun medico in famiglia, per Alessandro. Il papà è un operaio dell’Alenia, la sorella lavora in un negozio di calzature. La medicina arriva nei sogni perché era il grande desiderio della mamma. «Che, però, non c’è più», dice tradendo l’emozione il giovane medico, «è stato anche un regalo a lei». Nessuna paura del virus ma grande rispetto per la malattia. «Fa male e bisogna fare attenzione – dice Alessandro -. Il ricordo più triste di questa pandemia, per me, è la fila di auto delle pompe funebri nel parcheggio dell’ospedale». 

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La voce squilla, senza tremori, limpida, come quella di una speranza ben disegnata, anche nelle parole degli altri. Rossana Sabbato ha 27 anni, è tra le più giovani. Nella foto è la ragazza in primo piano che guarda dritto in camera. Laureata in medicina a 25 anni, poi specializzanda in medicina generale. Da marzo, terzo anno. Ma da aprile è nelle Usca dell’Asl Napoli 2 Nord. Anche per lei, drive in dei tamponi a Giugliano, poi a Frattamaggiore. E ora, vaccinatrice. «Voglio fare il medico di base – dice senza tentennamenti – perché amo il contatto diretto con il paziente. Ho una esperienza alle spalle di Guardia medica, poi la bufera del Covid. I miei genitori inizialmente erano un po’ preoccupati. Ma mi conoscono, sanno quanto sono scrupolosa e attenta e man mano si sono tranquillizzati. Le misure di sicurezza sono massime. I primi tempi sono stati spaventosi per tutti, anche per noi. Non sapevamo a cosa andavamo incontro. Poi abbiamo preso le misure al lavoro. Quando sono stata chiamata a fare le vaccinazioni è stata una festa. Ma il lavoro si è rivelato molto più complesso di quello che si può immaginare. C’è una parte burocratica seria. E poi la preparazione del vaccino. Dal flaconcino, noi tiriamo sei dosi, assolutamente. Non si spreca nemmeno una goccia. Io l’ho fatto il 31 dicembre e ora attendo la seconda dose. Tranquilla? Tranquillissima. È una straordinaria opportunità». 

Fiducia e speranza, sono le parole che questi medici ragazzini pronunciano più spesso. Per loro la medicina è cura, è progetto, è vita. «Io sono la più anziana del gruppo – dice con un sorriso Ilaria Di Laora, 33 anni, di Frattaminore, già specializzata, esperienze al Gemelli di Roma -. Mia madre è un medico ma non è stata lei a influenzarmi. Ho sempre voluto fare questo lavoro, fin da bambina. Questa è una esperienza indimenticabile. Di vita prima ancora che di lavoro. Ora siamo più rilassati, lo confesso. Abbiamo vissuto un momento di crisi a novembre. Eravamo nel panico, più di mille tamponi al giorno e persone esasperate dalla paura e dal dolore. Noi, il punto di contatto più prossimo: abbiamo fatto tamponi a persone che avevano perso dei congiunti e non avevano potuto salutarli per l’ultima volta. Ora, con le vaccinazioni, la storia è tutta diversa. Siamo stanchissimi ma contenti. Le persone vengono da noi sorridenti, felici. La luce è negli occhi, non solo in fondo al tunnel. La scienza vince, e noi con lei».

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