Napoli, vigilante ucciso nella metro: «Ho detto di picchiarlo a sangue, era un gioco dopo l'ultimo spinello»

di Leandro Del Gaudio
- 1957
Da queste parti, tra i palazzoni popolari e le stazioni della metro
collinare, le notti in qualche modo pure devono passare. Qui, tra
le stazioni della metro collinare e qualche aiuola mal curata,
sembra che il giorno non arrivi mai, almeno a leggere i verbali dei
tre indagati per l'omicidio di Francesco Della Corte. Hanno
ammesso di aver aggredito e tramortito un uomo colpendolo alle
spalle, hanno poi avuto molte esitazioni a confermare il movente
economico (la tentata rapina da rivendere al ricettatore per 5-600
euro) e hanno confermato un punto su tutti. Alle tre di notte,
quando anche l'ultima cornetteria chiude bottega, ti ritrovi
con dei pezzi di legno tra le mani e davvero hai bisogno di fare
qualcosa: ed è così che decidi di puntare su quello
che tutte le notti, fa la stessa cosa, che è poi il suo
lavoro, la ronda da vigilantes.
Lo chiarisce uno dei tre, quello che viene indicato come il capobranco, il 17enne L.C, che ammette in modo gelido: «Ho finito di fumare l'ultimo spinello e ho detto: guagliù, ora picchiamo il metronotte». Confessioni simili, tre minori indagati per omicidio, che ammettono manco se fossero allo specchio che non hanno avuto esitazioni ad abbandonare in fin di vita un uomo colpito con tanta violenza: «Pensavamo che stesse russando», ha detto uno dei tre indagati. Ma sono solo alcuni stralci degli interrogatori che hanno giustificato il fermo del pm Ettore La Ragione, al termine di interrogatori scanditi dal pianto degli indagati e dalla rabbia di qualche genitore. Parla per primo K.A., 15 anni da poco compiuti, figlio di un parcheggiatore abusivo e di una domestica, uno che non ha esitato un attimo ad assumersi le sue responsabilità: «Le notti passano così, a giocare a mazza e pietre. Prendiamo le mazze dalla spazzatura, usando pezzi di vecchi mobili, facciamo saltare un coccio di bottiglia e poi lo colpiamo al volo. Con quelle mazze - è la sintesi dell'interrogatorio di garanzia - abbiamo aggredito quell'uomo, sapevamo che alle tre di notte faceva il suo giro». Difeso dalla penalista Antonella Franzese, K.A. ha pianto alla fine, ha chiesto se poteva scrivere una lettera alla famiglia del 51enne ucciso. È stato lui ad ammettere che l'obiettivo era la pistola del vigilante. Stesso copione da parte di C.U., terzino promettente della Chiaiano Brothers, in uno scenario investigativo che si è arricchito nelle ultime ore anche di alcune intercettazioni. Venerdì pomeriggio, vengono intercettate due ragazze, una delle quali è la fidanzata di uno dei tre minori arrestati. Sanno tutto degli arresti, commentano al telefono e via whatsapp: «Hai visto che è successo?», dice la prima alla seconda; che replica: «Ma allora sono stati loro? Che guaio». E ancora: «In casa stanno morti, ora si fanno 16 anni di galera».
Domenica 18 Marzo 2018, 11:55 - Ultimo aggiornamento: 18-03-2018 15:58
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Lo chiarisce uno dei tre, quello che viene indicato come il capobranco, il 17enne L.C, che ammette in modo gelido: «Ho finito di fumare l'ultimo spinello e ho detto: guagliù, ora picchiamo il metronotte». Confessioni simili, tre minori indagati per omicidio, che ammettono manco se fossero allo specchio che non hanno avuto esitazioni ad abbandonare in fin di vita un uomo colpito con tanta violenza: «Pensavamo che stesse russando», ha detto uno dei tre indagati. Ma sono solo alcuni stralci degli interrogatori che hanno giustificato il fermo del pm Ettore La Ragione, al termine di interrogatori scanditi dal pianto degli indagati e dalla rabbia di qualche genitore. Parla per primo K.A., 15 anni da poco compiuti, figlio di un parcheggiatore abusivo e di una domestica, uno che non ha esitato un attimo ad assumersi le sue responsabilità: «Le notti passano così, a giocare a mazza e pietre. Prendiamo le mazze dalla spazzatura, usando pezzi di vecchi mobili, facciamo saltare un coccio di bottiglia e poi lo colpiamo al volo. Con quelle mazze - è la sintesi dell'interrogatorio di garanzia - abbiamo aggredito quell'uomo, sapevamo che alle tre di notte faceva il suo giro». Difeso dalla penalista Antonella Franzese, K.A. ha pianto alla fine, ha chiesto se poteva scrivere una lettera alla famiglia del 51enne ucciso. È stato lui ad ammettere che l'obiettivo era la pistola del vigilante. Stesso copione da parte di C.U., terzino promettente della Chiaiano Brothers, in uno scenario investigativo che si è arricchito nelle ultime ore anche di alcune intercettazioni. Venerdì pomeriggio, vengono intercettate due ragazze, una delle quali è la fidanzata di uno dei tre minori arrestati. Sanno tutto degli arresti, commentano al telefono e via whatsapp: «Hai visto che è successo?», dice la prima alla seconda; che replica: «Ma allora sono stati loro? Che guaio». E ancora: «In casa stanno morti, ora si fanno 16 anni di galera».
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