Stupro sulla Circumvesuviana, ecco chi sono Alex e i suoi amici

Stupro sulla Circumvesuviana, ecco chi sono Alex e i suoi amici
di Francesco De Sio
Giovedì 7 Marzo 2019, 14:00 - Ultimo agg. 23:34
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Hanno passato la notte al freddo, in attesa dei figli, dinanzi al cancello del commissariato di San Giorgio a Cremano. Dalle 2 fino alle 8,30 del mattino, quando finalmente i tre presunti responsabili dell'abuso sessuale consumatosi nella stazione Circum escono, scortati in auto dagli agenti, alla volta di Poggioreale. Genitori e parenti li acclamano, urlano. Una mamma si perde in un pianto a dirotto. Un padre addirittura applaude, a mo' di incoraggiamento. Loro - Alessandro Sbrescia, Raffaele Borrelli e Antonio Cozzolino - abbozzano un sorriso. La sintesi perfetta dell'inconsapevolezza giovanile che sfocia nell'incoscienza più estrema. «Si renderanno conto di cosa hanno combinato solo quando vedranno chiudersi la cella», sussurra a mezza voce un poliziotto. E in effetti, nella San Giorgio a Cremano ufficialmente «città dei bambini e delle bambine», fa effetto girare per le strade e sentire parlare solo di loro, tutti e tre non ancora ventenni, come simbolo di una gioventù bruciata. La stessa che trascorre i pomeriggi ciondolando tra piazza Troisi e il parcheggio antistante la stazione, luogo prediletto di ritrovo della movida locale.
 

 

Si davano appuntamento spesso lì anche Alessandro e Raffaele, amici inseparabili. Completava il trio Antonio, che aveva conosciuto gli altri due durante gli anni di studio all'istituto tecnico nautico Cristoforo Colombo di Torre del Greco. Nel gruppo, racconta qualche amico, era senza dubbio Sbrescia a farsi notare maggiormente per la propria esuberanza. Una caratteristica sempre al limite tra stravaganza e illegalità, visti i precedenti per droga che il ragazzo, classe 2001, vanta a curriculum. Non mancano nemmeno le iniziative bizzarre che lo hanno visto coinvolto: tra le ultime la creazione di una pagina social a proprio nome identificata come «setta religiosa» o la scelta di farsi crescere - assieme a Borrelli - una folta barba, rasata poi integralmente solo martedì notte. Figlio di genitori separati, Alessandro ha passato la propria adolescenza tra Sant'Anastasia e San Giorgio, dove risiede più di frequente con la madre in un piccolo appartamento di via Don Morosini, in pieno centro. «Radio Vicoli» racconta di un ragazzo estroverso ma poco avvezzo dal mondo del lavoro. «Svolgeva mansioni saltuarie in alcuni magazzini - spiega un conoscente di qualche anno più grande - ma non è mai arrivato da nessuna parte al quarto giorno». Un quadro più o meno sovrapponibile a quello di Raffaele. Peculiare invece il caso di Antonio, figlio di una famiglia benestante e residente nella parte alta della città. Gli amici di sempre faticano a credere che proprio lui possa essere rimasto coinvolto in un episodio di tale brutalità. Mondi diversi, eppure così vicini, accomunati dal quel senso di fratellanza che si evince palese scorrendo foto e profili social dei tre. Richiami al senso di aggregazione come «fratello» o «sangue mio» non si contano, in una comitiva che proprio dal senso di impunità tipico del branco potrebbe aver trovato la forza di compiere il gesto più malsano.
 

E che la consapevolezza di quanto - presumibilmente - compiuto non sia mai arrivata, lo dimostrano anche le testimonianze dirette di chi ha avuto modo di visionare i filmati delle telecamere di sorveglianza dell'Eav. Quei maledetti sette minuti in ascensore, prima di una fuga nemmeno accennata. Si sono allontanati a passo d'uomo Alessandro, Raffaele ed Antonio, forse perché convinti di farla franca, certamente inconsapevoli di quanto adesso quegli attimi interminabili peseranno come un macigno sulla vita di una ragazza. La spaccatura tra le due facce di San Giorgio, del resto, si percepisce netta camminando per le strade. C'è piazza Troisi a fare da «Checkpoint Charlie» tra la parte sconvolta e incredula e quella silenziosa e complice di piazza Trieste e Trento. Davanti al piazzale della stazione le telecamere e le domande dei cronisti sono viste con uno scetticismo dal retrogusto di omertà dai pochi presenti. «Non fatemi parlare, non potrei mai tradirli», rivela ammiccando un ragazzotto con un accenno di barba sul volto. Ed è proprio il silenzio di una piazza vuota a risaltare ancora di più dopo il climax raggiunto martedì sera attorno alle 19. Come la più classica delle quieti dopo la tempesta. «Conosco loro tre come gli altri, parliamo di ragazzi che hanno perso la reale percezione delle proprie azioni in una voragine di pressapochismo e mancanza di ideali», evidenzia con amara lucidità un anziano seduto su una panchina sgarrupata, allegoria malinconica dell'ultimo baluardo di saggezza rimasto a difesa della gioventù sana. Per Alessandro, Raffaele ed Antonio, comunque, ieri mattina si sono spalancate le porte della casa circondariale di Poggioreale. La sensazione netta è che all'interno, ad accoglierli, non ci saranno lacrime né applausi.

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