La moda non ci sta. Fa proseliti la protesta organizzata dagli imprenditori del settore abbigliamento adulti: una manifestazione che, nata a Chiaia, si è allargata in poche ore ieri a tutti i quartieri dello shopping cittadino - via Toledo, Vomero, Rettifilo - e ha raggiunto la provincia e altri capoluoghi campani. Il principale motivo dello scontento nel comparto moda-gioielli-accessori riguarda le restrizioni della zona rossa, che «chiude solo noi rispetto alla zona arancione, lasciando in strada un mare di gente e mettendoci in ginocchio». Sono oltre 1300 tra Napoli e dintorni i negozi che hanno lasciato ieri porte aperte e luci accese fino a sera, esponendo un volantino in vetrina che recita «il futuro non si chiude - È passato un anno. Non possiamo più aspettare. Anche le imprese muoiono». E lo stesso avverrà anche stasera.
Dilaga la sfida ai divieti in città. Esausti di restrizioni dopo oltre 12 mesi di pandemia, i negozianti elencano i numeri delle imprese saltate, la lista dei debiti con i fornitori e quelli dei fitti, non solo dei locali, ma anche dei magazzini strapieni di abiti rimasti invenduti. «Le nostre luci resteranno accese a oltranza, anche di sera - assicura Roberta Bacarelli dell'omonimo atelier in via Carlo Poerio e presidente di Federmoda - almeno fino a che non riapriremo: sono tutti aperti, la gente è in strada e solo noi siamo chiusi. In Campania hanno chiuso 5mila aziende da inizio pandemia, e si stima che ne chiuderanno altre 3500. Non possiamo più pagare le spese. Lo Stato si è sistematicamente dimenticato di noi, e questa dimenticanza non può continuare. Gli ultimi ristori sono stati un'elemosina: nella soglia del 30% sono rientrati in pochissimi. Il mio negozio prende tremila euro di aiuti. La gente mi chiede 3000mila al mese?. Rispondo: No, in totale. E pago il triplo di affitto ogni 30 giorni. Eppure le persone in strada ci sono eccome: la desertificazione della zona rossa, ormai lo abbiamo imparato, dura poco più di una settimana. Poi le briglie si sciolgono e la cittadinanza torna a uscire: perciò stona ancora di più la nostra chiusura. La vita riprende per tutti inesorabilmente, tranne che per il nostro settore. Ci tengo a specificare che la nostra manifestazione è una forma di disobbedienza civile: siamo aperti ma non effettuiamo vendite al pubblico». Fatto importante, questo per evitare eventuali sanzioni delle forze dell'ordine. «Ho un'attività in via Chiaia - racconta Leonardo Mellone, di Diagonale - Perdere la Pasqua come l'anno scorso è insopportabile.
«Chiusi, per spedizioni bussare», si legge su un foglio a4 affisso in vetrina in un negozio di moda in via Kerbaker. È una delle strategie usate dagli imprenditori in questo periodo di rosso. Ma l'e-commerce e le consegne a domicilio da soli non bastano a sostenere gli alti costi dei locali, parametrati sull'enorme via vai di passanti pre-pandemia, ormai fuori moda: per un amaro gioco di parole, questo discorso vale proprio per le attività di moda, gioielli e accessori che nel passaggio da zona arancione a rossa vengono chiuse (mentre nulla cambia per bar e ristoranti, aperti solo in zona gialla, o per discoteche, palestre, cinema e teatri, finora sempre chiusi con ogni colore. L'abbigliamento per bambini, invece, è sempre aperto). Per questo sono tanti i brand noti che hanno aderito alla protesta: Antonio Barbaro, Schmitt, Tammaro, Tullino, gioielli Della Corte, Marino, Monetti solo per citarne alcuni. «Corso Umberto prima della pandemia era un centro importante del commercio di abbigliamento - dice Francesco Martone dell'omonimo atelier - Adesso è una strada da far West. Qui incide tanto il divieto di spostamento tra Comuni, perché si vendeva molto a turisti e gente proveniente dalla provincia. La rabbia sta salendo nel settore, e più voci ipotizzano nuove forme di protesta dopo Pasqua».