Napoli, i summit dei narcos nel ristorante di Posillipo ​frequentato da vip e calciatori

Napoli, i summit dei narcos nel ristorante di Posillipo frequentato da vip e calciatori
di Giuseppe Crimaldi
Martedì 4 Febbraio 2020, 23:00 - Ultimo agg. 5 Febbraio, 10:59
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Ufficialmente figurava nullatenente e percettore del reddito di cittadinanza. In realtà - almeno secondo l’accusa che gli muove la Direzione distrettuale antimafia - Ciro Capasso era il gran burattinaio dei traffici di coca a Napoli e provincia. Fiumi di soldi e di polvere bianca scorrevano intorno a questo 52enne che un collaboratore di giustizia indica addirittura come “uomo che godeva la simpatia e la fiducia di Pablo Escobar”. Ieri mattina, al termine di una delicata indagine portata avanti dal comando provinciale della Guardia di Finanza, per lui ed altre 23 persone sono scattate le manette con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti: tra loro compare anche il figlio del promotore, il 29enne Antonio Capasso, titolare di uno dei ristoranti preferiti dalla “Napoli bene”, “Tufò”, nel cuore della collina di Posillipo.

L’inchiesta coinvolge non solo una serie di insospettabili, ma anche i più inquietanti ambienti della camorra che conta davvero a Napoli: le ingenti partite di cocaina “trattate” dai Capasso finivano infatti nelle piazze di spaccio degli Scissionisti di Scampia, della Vannella Grassi, del clan Contini, dei gruppi criminali di San Giovanni a Teduccio e delle cosche attive nel Parco Verde di Caivano.

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Ed è un’indagine da manuale, quella portata a termine dai militari del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Napoli sotto l’attento coordinamento del sostituto Ida Teresi e del coordinatore della Procura antimafia partenopea, Giuseppe Borrelli. Un’indagine “classica”, che ha utilizzato i tradizionali metodi investigativi fatti di complessi pedinamenti, alla quale poi si sono aggiunti i riscontri delle intercettazioni telefoniche ed ambientali (una telecamera era stata nascosta anche all’interno del noto ristorante) e le dichiarazioni convergenti di almeno cinque pentiti.

Accanto agli arresti, i finanzieri hanno eseguito ieri anche i sequestri di sette società (tra cui quelle riferite alla gestione dei ristoranti a insegna “Tufò”, già affidati a custodi giudiziari), tre immobili, 13 veicoli, 68 rapporti finanziari ed anche orologi preziosi per un valore complessivo di oltre un milione di euro. Ma i bilanci e gli introiti della “holding della coca” dei Capasso era - stando all’accusa - di gran netto superiori. Per la cronaca, dopo la scoperta che la moglie di Ciro Capasso (e con lui altri cinque presunti complici) percepiva anche il reddito di cittadinanza, le fiamme gialle hanno fatto scattare una segnalazione all’Inps per l’adozione delle revoche.
 


Personaggio centrale è certamente Ciro Capasso: mai coinvolto in procedimenti di camorra finora, eppure ritenuto raffinatissima mente imprenditoriale che faceva da anello di congiunzione nelle intermediazioni tra i narcotrafficanti mondiali e i clan della camorra. Abile e scaltro, Capasso Senior riusciva a fare affari un po’ con tutti i cartelli criminali napoletani e anche casertani: viene infatti indicato come vicino agli Scissionisti, ma anche come componente dell’“ala economica” del sempre potentissimo clan Contini. Grazie ai favori di una donna alla quale sarebbe rimasto sentimentalmente legato fino a poco fa, Ciro riuscì addirittura a scansare la furia di quella camorra che non perdona quando ci si fa sequestrare ingenti partite di droga: riuscendo ad ottenere la dilazione - a 30mila euro al mese - per un debito di un milione di cocaina finita sotto sequestro nel 2018.
 

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