A sentirli parlare sembrano dei manager di una multinazionale, di quelli che - con la forza di un touch al computer - spostano quattrini e merci da un continente all’altro. A leggere quelle chat (ce ne sono cento milioni), sembra di seguire la giornata di un capitano di azienda su scala planetaria. Hanno nomi strani, ovviamente in codice: “Pentagon” o “Plutone” e chissà quali altri alias. Parlano spagnolo, inglese, ovviamente napoletano e si confidano ansie e ambizioni, progetti e delusioni.
Eccoli Raffaele Imperiale e Bruno Carbone, il primo detenuto da un anno; il secondo in fuga da una vita.
Difeso dai penalisti Massimo Caiano e Maurizio Frizzi, sabato mattina Imperiale si è avvalso della facoltà di non rispondere. È accusato di aver organizzato un traffico di cocaina dal porto colombiano di Turbo a Gioia Tauro, con scalo europeo in Olanda. Un traffico condotto assieme al presunto socio calabrese Bartolo Bruzzaniti e al socio di sempre Bruno Carbone: quest’ultimo viene definito “amico”, “brother”, “amigo”, “compare”, a seconda del contesto in cui avviene la conversazione. Sono tre i problemi da risolvere: corrompere i funzionari della dogana; trovare gli addetti al posizionamento dei panetti di cocaina, garantire uno scalo europeo a prova di controlli. Dice Bruzzaniti: «Bisogna creare un container gemello con le banane vere... Ho smosso mezza Colombia per ottenere questo risultato». Chiede Imperiale: «E cosa accade se alcuni impiegati (onesti) si mettono a controllare il container?». La risposta è netta: «Bisogna garantire una pensione dorata al funzionario delle Dogane...». Ma preliminari a parte, Imperiale e Carbone focalizzano la loro attenzione sul progetto: «Se Dio Vuole coroniamo questa di Turbo, se va bene Turbo prendono 12,13 milioni bro’».
È il 22 febbraio del 2021, quando Imperiale prova a tranquillizzare il suo interlocutore, tracciando anche un bilancio della sua (presunta) carriera di narcos: «Ma cerchiamo di essere forti, che siamo solo all’inizio, dobbiamo fare 30 t (tonnellate?) quest’anno, importante che facciamo prima e 30 t, e poi prima di ogni altro stress possiamo anche parlare di andare in pensione che abbiamo fatto tanto per arrivare dove siamo arrivati. Non possiamo arrenderci adesso». Ormai è tutto pronto, siamo alla scena finale. Dice Imperiale da Dubai: «Sono 1920 panetti di cocaina»; e Carbone: «Ci vuole una tripletta di questa...», strappando un «magari» da parte del suo socio di sempre. Poi, sempre chattando con il suo socio, Imperiale si lascia andare a un commento sulla politica italiana in materia di mafia e di latitanti, dopo aver appreso che il suo nome è in cima alla lista dei wanted a Napoli: «Ormai non ce n’è rimasto più nessuno (di boss latitanti); in Sicilia non c’è più nessuno, la verità è che non c’è più delinquenza e mettono due nomi a caso (tra cui anche il suo) nella lista dei ricercati, ma lo fanno solo per mangiarsi i soldi delle tasse...». Parola del boss che custodiva due tele di Van Gogh rubate ad Amsterdam e che li ha offerti allo Stato (col permesso del boss Amato), per evitare condanne alte.