Napoli, nonno Whirlpool muore a 87 anni nel giorno in cui gli operai sono scaricati dall’azienda: «Continuate a lottare»

Napoli, nonno Whirlpool muore a 87 anni nel giorno in cui gli operai sono scaricati dall’azienda: «Continuate a lottare»
di Alessio Liberini
Mercoledì 1 Dicembre 2021, 22:53 - Ultimo agg. 2 Dicembre, 08:29
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«Dopo tre mesi di lunga lotta vennero in fabbrica Berlinguer, Marino e Napolitano e ci dissero: “ragazzi abbiamo vinto” fu una vittoria che ha mantenuto la fabbrica fino ad oggi aperta e voi dovete continuare a lottare proprio come abbiamo fatto noi in quegli anni. Quella fabbrica è nostra e noi vecchi l’abbiamo lasciata a voi e voi, nostri figli, dovete difenderla con i denti, non dovete mollare mai».

Con queste parole “Nonno Whirlpool, al secolo Giuseppe Borrelli, aveva spento le sue 86 candeline solo lo scorso 4 agosto 2020, augurandosi un futuro prospero per la sua famiglia e per tutti i lavoratori dello stabilimento di via Argine. Ma oggi, come una sciagurata coincidenza che si unisce ad un beffardo destino, è venuto a mancare all’età di 87 anni, proprio nel giorno in cui la multinazionale statunitense ha abbandonato una volta per tutte gli operai di Ponticelli. Una perdita che ha gettato nelle lacrime e nello sconforto tutti i lavoratori della Whirlpool di Napoli che in queste ore si uniscono al dolore della famiglia. L'ultimo saluto è previsto per domani, 2 dicembre, alle ore 15.00 presso la chiesa di San Giorgio a Somma Vesuviana.

Giuseppe Borrelli, noto con l’affettuoso appellativo di “Don Peppe”, per la stragrande maggioranza dei lavoratori partenopei era infatti un faro di luce e di speranza.

Era la memoria tangibile di quella storia industriale napoletana, lunga ben 56 anni, che oggi l’azienda americana ha deciso di cancellare.

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“Nonno Whirlpool”, classe 1934, era entrato in fabbrica per la prima volta «una mattina di agosto del 1964 di buon’ora» come lui stesso aveva il piacere di raccontare, presentandosi ai cancelli di quella che all’epoca era la Ignis Sud e dopo 34 anni di duro lavoro non aveva difatti mai lasciato del tutto quello stabilimento che considerava a tutti gli effetti una seconda casa. Appoggiando e sostenendo, in questi quasi tre anni di vertenza, la lotta degli operai di oggi perché: «Quella fabbrica è nostra e noi vecchi l'abbiamo lasciata a voi e voi, nostri figli dovete difenderla con i denti, non dovete mollare mai» spiegava lo stesso Giuseppe nel giorno del suo penultimo compleanno.

Borrelli, figlio a sua volta di un operaio, aveva conosciuto fin da giovanissimo i sacrifici che ci sono dietro le vite di un umile lavoratore con una famiglia numerosa. «Eravamo – ricordava - 6 figli, mio padre lavorava nella Smeg ma la paga non bastava, soffrivamo la fame e ci arrangiavamo con quello che c'era, senza lamentarci, abituati alla sofferenza della guerra, quel poco che avevamo era già tanto. Subito dopo il servizio militare in marina iniziai a lavorare nei campi in cambio di un qualcosa da portare a casa e qualche spicciolo».

E dopo mesi e mesi ad arrangiarsi per poche lire la buona notizia gli arrivò da suo fratello Ciro «c'era una nuova fabbrica a Barra, nel nostro stesso quartiere, cercava operai, l'Ignis Sud, si presentò (mio fratello ndr) e fu assunto. Qualche mese dopo, decisi di provarci anche io». Una calda mattina di agosto così anche per lui si aprirono i cancelli della fabbrica e da allora, fino ad oggi, non li ha mai più realmente lasciati.

«Ha indossato la nostra maglia dal primo giorno» ricorda oggi, ancora in preda al dolore, la figlia Carmela Borrelli. La stessa che proprio in quella fabbrica ha conosciuto il suo attuale marito Francesco Petricciuolo, anche lui operaio Whirlpool. Una storia d’amore, nata tra i meandri di via Argine, che si unisce alle tante storie che vivono, indissolubilmente, dietro quella sciagurata “x rossa” posta dalla multinazionale del bianco su Napoli.

Storie ed intrecci, volti e speranze di uomini e donne, di cui Giuseppe Borrelli era quasi una sorta di garante, in quanto rappresentava la testimonianza storica, in carne ed ossa, delle lotte precedenti - avvenute proprio in quello stabilimento - e vinte dai lavoratori.

«Abbiamo fatto una vita di sacrifici – raccontava “Nonno Whirlpool” -  lavorato duro ma anche lottato tanto, proprio come voi». «All'inizio degli anni Settanta – ricordava ai lavoratori di oggi -  ci fu comunicato che la fabbrica sarebbe stata chiusa. Eravamo quasi 1500 operai ci chiudemmo dentro in fabbrica e la occupammo. Formammo delle squadre, organizzammo le ronde che giravano il perimetro, altri, invece, difendevano i cancelli dalla polizia che tentava di entrare. Le famiglie dai cancelli ci portavano il cibo mentre la popolazione locale ci sostenevano moralmente». E così dopo tre mesi di lunga lotta «vennero in fabbrica Berlinguer, Marino e Napolitano e ci dissero: “ragazzi abbiamo vinto”».

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