I nuovi poveri di Napoli: duemila clochard in città, tra loro anche padri separati

I nuovi poveri di Napoli: duemila clochard in città, tra loro anche padri separati
di Nunzia Marciano
Giovedì 5 Agosto 2021, 09:30 - Ultimo agg. 18:02
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Duemila, approssimati per difetto; molti italiani e napoletani, uomini principalmente, di ogni età; finiti per strada per necessità o per scelta: sono gli invisibili, che ogni giorno, o meglio, ogni notte, popolano i luoghi dell'abbandono di Napoli. All'alba il Comune di Napoli li sgombera, «per la pressione dei commercianti, che già provati dal periodo molto difficile, non vogliono i senza dimora davanti ai negozi», racconta una volontaria. Ma i segni della loro presenza sono ovunque: nei giardini dal Molosiglio a piazza Cavour; nelle Gallerie della città; in via De Gasperi ma anche in via Posillipo; nel villaggio di piazza Duca degli Abbruzzi, sgomberato regolarmente, e che regolarmente si ripopola. 

Un'emergenza, in un'epoca questa in cui di emergenza si parla ogni giorno, ma non di quella umana e sociale: «Prima erano poveri barboni, gente che si era ridotta o per scelta disperata o per necessità a vivere in strada», racconta monsignor Adolfo Russo, Direttore della Pastorale di Napoli, «Oggi anche persone civili che hanno un minimo di lavoro, come i papà separati, non hanno un pasto caldo o un letto». Sbagliato pensare che si tratti solo di extracomunitari che, anzi, spesso non rientrano neppure nella conta, perché usufruiscono di altri canali di accoglienza: «L'assistenza è importante ma si deve affrontare il problema a monte. È un discorso anche politico e la diocesi con le altre associazioni deve farsene carico. Ci auguriamo», conclude Russo, «che i fondi post pandemia risolvano qualcosa e non solo l'emergenza del momento». In questa direzione va da anni il lavoro della Cooperativa La Locomotiva, ai Colli Aminei: «Operiamo su due fronti», spiega Danilo Tuccillo, presidente della Onlus, «da un lato l'accoglienza con 100 posti, dall'altro l'inserimento nel mondo del lavoro».

Ma come funziona? «L'ospitalità dura tre mesi rinnovabili per altri tre. Poi, se ci sono i requisiti, si accede a residenze autonome dove è possibile restare sei mesi e poi altri sei e uscire dallo stato di emergenza, che è l'obiettivo che perseguiamo». Ma il reinserimento non è solo lavorativo: «Da anni curiamo la parte napoletana del giornale Scarp de' tenis, dove scrivono i nostri ospiti, affiancati da un professionista e lo vendono alle persone; è una sorta di esperienza in ambiente lavorativo dove vengono pagati e allo stesso tempo si avvicinano all'altro riconquistando il valore della relazione». Progetti lodevoli ma che hanno dovuto fare i conti con la pandemia. 

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Molte le limitazioni, in primis per il numero di posti disponibili di accoglienza, poi per le modalità di accesso ai pasti (non più in presenza). E il mondo dei senza dimora ha pagato prezzi altissimi, con istituzioni che non sono riuscite a gestire la condizione di chi veniva obbligato a restare a casa, senza avere una casa: «È stato chiaramente paradossale e nessuno ha pensato a questo ossimoro», racconta Benedetta Ferone, responsabile Servizi ai senza dimora della Comunità di Sant'Egidio: «Prima della pandemia l'assistenza sanitaria veniva data da CRI e camper Asl Napoli 1, ed era un anche un gancio per riprendere in mano la vita di qualcuno e uscire dalla strada. Durante la pandemia è stato tutto più difficile, anche se l'assistenza non si è mai fermata: noi abbiamo prorogato la nostra accoglienza ma Comune, prefetto, assessore competenti, hanno chiuso molte strutture durante il lockdown. Le persone sono rimaste in strada, e a molti veniva intimato di restare sui cartoni». E i vaccini? «All'inizio c'era tanta confusione e si poteva accedere solo esibendo documenti che in tanti non hanno. Da giugno, invece, le istituzioni hanno dato mandato di vaccinare tutti. Siamo partiti dai centri di accoglienza e poi siamo passati ai vaccini in strada, con supporto dell'Asl. Abbiamo vaccinato più di 400 persone prive di documenti». Fatto il vaccino, resta però l'incognita Green pass. È ancora la Ferone a spiegare: «Per chi aveva avuto il vaccino senza documenti, era possibile rilasciare solo un certificato temporaneo. Dallo scorso giugno il portale Soresa è stato aperto ad immigrati con tesserino sanitario STP o ENI (Stranieri temporaneamente presenti/Europei non iscritti), che possono fare il vaccino in forma regolare». E per chi lo aveva già fatto? «Al momento loro sono in un limbo, da cui non si è capito ancora come uscire».

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