«Napoli in zona rossa, nuovi poveri in aumento: servono cibo e medicinali»

«Napoli in zona rossa, nuovi poveri in aumento: servono cibo e medicinali»
di Maria Chiara Aulisio
Sabato 10 Aprile 2021, 11:30 - Ultimo agg. 14:46
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A Napoli dal 2007, suor Lucia Sacchetti è una delle colonne portanti del rione Sanità. Si prende cura dei bambini, ma anche degli adolescenti, passa le sue giornate ad assistere chi ha bisogno, porta cibo ai poveri, regala affetto e sorrisi, offre a tutti parole di fede e solidarietà. Per la gente del quartiere è una garanzia. Litiga pure con i camorristi, suor Lucia: dopo un paio di vivaci scontri verbali, i delinquenti della zona hanno capito che la suora è una tosta: meglio starne alla larga. Una delle sue caratteristiche, infatti, è quella di non scoraggiarsi mai davanti alle difficoltà, ma combattere in silenzio, senza mollare e guardando avanti. Ora però è arrivato il momento di parlare e chiedere aiuto. 

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Che cosa succede, suor Lucia?
«La Sanità è in ginocchio.

Il Covid ci ha dato il colpo di grazia».

Si spieghi meglio.
«È venuto meno il lavoro. Sì, anche quello a nero che, benché illegale, comunque garantiva un minimo di sussistenza alle famiglie».

Emergenza povertà, insomma.
«La situazione è molto complicata. Ora c'è bisogno di cibo e medicine».

Parla di farmaci anti Covid?
«Non solo. Servono soprattutto quelli basilari, dall'aspirina effervescente all'antidolorifico, tanto per fare un esempio. Alcune famiglie neanche un mal di testa possono curarsi».

Così interviene suor Lucia.
«Per quel che posso. Spesso faccio ricorso alla farmacia solidale, si trova ai Vergini, è una realtà preziosa».

Fa riferimento al progetto realizzato dalla Chiesa di Napoli con i farmacisti?
«Un farmaco per tutti, una risposta concreta alle esigenze della gente. Ci consente di assicurare anche i medicinali più costosi, e non mutuabili, ai poveri del quartiere».

Diceva che manca anche il cibo?
«La Sanità è sotto pressione da quando è scoppiata la pandemia. Niente lavoro, niente più soldi, con tutto ciò che comporta. Ci sono famiglie a cui mancano anche il pane e il latte».

Non interviene nessuno?
«Per fortuna c'è la Caritas che non fa mai mancare il suo aiuto, ma anche tante organizzazioni di volontari che si occupano di distribuire spese e cestini con il pranzo. Purtroppo non basta mai. Ora che però hanno riaperto le scuole la situazione probabilmente è destinata a migliorare».

Perché?
«Le mamme sono più libere, almeno di mattina, e possono finalmente ricominciare a lavorare anche un poco. Noi le sosteniamo per quel che possiamo ma è chiaro che non è sufficiente».

In che modo siete di supporto alle mamme della Sanità?
«Accudendo i loro piccoli. Sfido il Covid ogni giorno, insieme con tanti uomini e donne dal cuore grande, ma i miei bambini non li abbandono».

Il Centro di accoglienza di suor Lucia quindi è aperto?
«Non l'ho mai chiuso, neanche in pieno di lockdown. Ovviamente nella massima sicurezza dal punto di vista sanitario e nell'assoluto rispetto delle norme anti Covid».

Come mai ha deciso di non sospendere le attività nonostante la pandemia?
«Se avessi sospeso il doposcuola decine di bambini sarebbero rimasti chiusi nei loro bassi, blindati in pochi metri quadrati, in una condizione di affollamento e promiscuità dove il rischio di contrarre il virus, e poi portarlo in giro, sarebbe stato certamente più elevato».

Meglio da suor Lucia.
«Gran parte del tempo lo trascorrono all'aperto. Giocano in giardino, si divertono e nello stesso tempo studiano».

Quanti sono i bambini che accoglie?
«Attualmente una trentina. Li abbiamo divisi in gruppi, vengono a scaglioni. Così rispettiamo le distanze di sicurezza».

L'obiettivo principale è quello di farli studiare?
«Certo. La scuola e l'istruzione prima di tutto. È quello che provo a spiegare alle famiglie quando mi confidano che i figli preferirebbero mandarli a lavorare».

Invece lei ha organizzato un vero e proprio servizio di assistenza scolastica.
«Devo ringraziare anche i tanti generosi volontari che mi affiancano in questa operazione di solidarietà. Pur di non perdere nessuno, in tempo di Covid, i più grandi li seguiamo con la didattica a distanza».

Altrimenti sarebbero troppi?
«Ripeto: il Centro non l'ho mai chiuso perché mi sono resa conto che sarebbe stato devastante ma le regole le rispetto fino in fondo. La distanza è un obbligo e anche il numero di ospiti da accogliere».

Insomma, un lavoro enorme in un quartiere assai difficile.
«Sì, è così, ma senza fatica. Quando pensavo di aver terminato la mia corsa, mi sono trovata a camminare per le strade del rione Sanità e ho capito che c'era ancora tanto da fare. E non mi sono tirata indietro». 

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