Omicidio a Mergellina, il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari nel carcere di Nisida: «Daspo ai 12enni»

«La repressione da sola non basta: servono educazione e prevenzione»

Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari
Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari
Leandro Del Gaudiodi Leandro Del Gaudio
Giovedì 30 Marzo 2023, 07:00 - Ultimo agg. 31 Marzo, 07:25
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Ha incrociato gli sguardi di alcuni ragazzi da poco entrati in cella ma anche di quelli prossimi ad uscire. «Occhi carichi di speranza e di voglia di riscatto, di chi chiede di poter essere protagonista della propria integrazione». È questa la prima immagine consegnata al Mattino dal sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari, dopo una full immersion in due carceri minorili. È stato a Nisida e ad Airola, in una due giorni che si conclude questa mattina nel carcere di Secondigliano.

Sottosegretario, restiamo al mondo minorile. In che condizioni ha trovato Nisida e Airola?
«Nisida è un viaggio a tutti gli effetti.

Ho trovato una struttura con grandi risorse sotto il profilo trattamentale. Si comprende subito che in questo istituto si svolgono attività decisive per la formazione dei giovani detenuti e che c'è una valida capacità di coinvolgimento, che va valorizzata per garantire una integrazione piena nella società all'indomani della scarcerazione. È chiaro che alcuni lavori di ristrutturazione sono necessari».

A cosa fa riferimento?
«Al teatro, che richiede degli interventi di ristrutturazione. So che ci sono dei fondi a cui attingere e c'è ovviamente la piena disponibilità del Ministero che rappresento. Ma devono intervenire anche gli enti locali. Mi appello con spirito di collaborazione al presidente Vincenzo De Luca, perché anche la Regione può dare una mano».

In che condizioni versa Airola?
«Qui c'è bisogno di più interventi di ristrutturazione. Ci sono zone pericolanti, l'intero Istituto deve essere riqualificato. Ovviamente, come in molti altri istituti, bisogna anche aumentare i numeri degli agenti di Polizia Penitenziaria e del personale che si dedica alla rieducazione dei detenuti».

Sottosegretario, a Napoli - come nelle altre grandi aree metropolitane - c'è un problema legato alle cosiddette babygang. In che modo fronteggiare fenomeni tanto complessi?
«Il fenomeno delle babygang assume caratteristiche diverse a seconda dei territori. Qui in Campania c'è un rischio di saldatura con la criminalità organizzata. Quanto avvenuto a Napoli nelle ultime settimane è spia di un disagio evidente. La repressione da sola non basta: servono educazione e prevenzione. Anche su questo dobbiamo lavorare per garantire una progressiva azione di responsabilizzazione».

A cosa fa riferimento quando parla di responsabilità?
«Penso al ruolo delle famiglie e di tutti gli attori sociali in campo per la formazione di un individuo. Lo abbiamo chiarito in un progetto di legge presentato dalla Lega, il partito che rappresento, che punta a intervenire su più livelli. A partire dai giovani non imputabili (parlo dell'età che va dagli 11 ai 14 anni), per i quali è previsto l'ammonimento da parte dei questori, che non incide sulla sfera penale, ma rappresenta uno strumento utile per mettere subito a conoscenza le famiglie e la scuola che c'è un disagio emergente e va affrontato. Altra questione è quella della messa in prova: se sei minorenne e commetti un reato puoi scegliere di estinguere la pena subito, quando serve davvero alla rieducazione».

Il prefetto di Napoli ha parlato della possibilità di incidere anche sulle famiglie, magari con sanzioni pecuniare a carico dei genitori dei ragazzi che vanno in giro armati.
«In linea di principio sono d'accordo, ci sono degli strumenti amministrativi che possono essere usati: il daspo, le sanzioni ai genitori, l'eventuale sospensione del reddito di cittadinanza. E poi ancora l'intervento della scuola, lo sport e il lavoro, specie in quella delicata fase di passaggio dal mondo carcerario alla realtà esterna».

In che senso?
«I fatti di Mergellina vedono coinvolto un soggetto che aveva superato la cosiddetta messa alla prova. Il vero problema è che poi non bisogna abbandonare i ragazzi a loro stessi, specie se il contesto da cui provengono è fortemente compromesso da legami con la criminalità organizzata. Puntiamo a rafforzare la connessione tra le attività formative intraprese in istituto e il mondo di fuori, in modo che nessuno si senta abbandonato al proprio destino. E questo non per buonismo, ma perché più giovani recuperiamo, meno criminalità avremo nelle nostre città». 

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