Omicidio D'Onofrio, il boss De Micco respinge le accuse: «Non parlavamo di un delitto ma di una partita a biliardo»

Omicidio D'Onofrio, il boss De Micco respinge le accuse: «Non parlavamo di un delitto ma di una partita a biliardo»
di Luigi Sabino
Martedì 5 Aprile 2022, 14:47 - Ultimo agg. 6 Aprile, 07:24
4 Minuti di Lettura

Ha rigettato ogni accusa Marco De Micco, il presunto boss di Ponticelli fermato, ieri mattina dalle forze dell’ordine, con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio di Carmine D’Onofrio. De Micco, assistito dall’avvocato Stefano Sorrentino, ha, sostanzialmente, tentato di demolire l’impianto accusatorio messo in piedi dalla Dda nei suoi confronti, a cominciare dall’accusa di aver sequestrato e malmenato Giovanni Mignano.

«Io a questo Mignano non lo conosco proprio -ha riferito agli inquirenti- e se lo incontro per strada non so nemmeno come è fatto». Un episodio, quello del rapimento di Mignano, da cui, secondo quanto emerso dalle indagini delle forze dell’ordine, sarebbe maturata la decisione di uccidere D’Onofrio. Affiliato al clan De Luca Bossa-Minichini, Mignano, si legge nel provvedimento, sarebbe stato prelevato dagli uomini di De Micco poche ore dopo l’attentato dinamitardo di via Piscettaro, contro l’abitazione del ras. Portato al suo cospetto, Mignano, percosso e minacciato dallo stesso De Micco avrebbe ammesso la sua responsabilità nell’attentato e anche riferito che, insieme a lui avrebbe agito “Carmine” che, per gli investigatori, altri non sarebbe che D’Onofrio.  Il coinvolgimento del ragazzo nell’attentato contro l’abitazione del boss, unito al suo legame di parentela con il ras rivale Giuseppe De Luca Bossa, sarebbe, secondo gli inquirenti, il movente dell’omicidio, materialmente eseguito alcuni giorni dopo.

LEGGI ANCHE ​Faida di Ponticelli, fermato il boss De Micco

Una ricostruzione, questa, che si basa su alcune intercettazioni ambientali raccolte grazie alle microspie posizionate all’interno dell’abitazione di De Micco, luogo dove il brutale interrogatorio sarebbe avvenuto. Una ricostruzione che, tuttavia, è stata ampiamente contestata dallo stesso De Micco e dal suo difensore. Innanzitutto, l’identità dei protagonisti di questa vicenda che, secondo l’avvocato Sorrentino, non sarebbe certa in quanto nelle intercettazioni si fa riferimento ai soli nomi di battesimo. Altro punto su cui la difesa si è battuta riguarda alcune espressioni colorite utilizzate da De Micco e da alcuni suoi presunti sodali e registrate dalle “cimici”. Si riferirebber”o, secondo la tesi difensiva, non alla preparazione di un omicidio ma piuttosto a una partita di biliardo.

Terzo, e forse più importante, il buco temporale nelle intercettazioni tra la presunta organizzazione dell’omicidio e la sua materiale esecuzione. Buco che, però, gli inquirenti hanno motivato con la scomparsa di D’Onofrio da Ponticelli, ipotizzando che il ragazzo si fosse rifugiato in un luogo sicuro in attesa che le acque si calmassero. Diversa, invece, la linea difensiva degli altri fermati che, a differenza di De Micco, avrebbero deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere. La decisione del giudice è attesa nelle prossime ore. Nel frattempo, però, il tamtam mediatico dei fiancheggiatori dei De Micco è già iniziato. Su alcune pagine social riconducibili a soggetti ritenuti, quantomeno, vicini alla cosca sono comparsi messaggi di solidarietà ai fermati a cominciare dallo stesso Marco De Micco. “Feriti ma non morti” recita uno di questi. Un messaggio che, secondo gli investigatori che li stanno monitorando, avrebbero anche una seconda finalità ossia quella di inviare un chiaro segnale ai rivali. I De Micco, questo il senso, sono ancora padroni di Ponticelli.

© RIPRODUZIONE RISERVATA