Pescivendolo ucciso a Boscoreale: «Vogliamo giustizia per papà, la pescheria è aperta per lui»

Pescivendolo ucciso a Boscoreale: «Vogliamo giustizia per papà, la pescheria è aperta per lui»
di Dario Sautto
Domenica 23 Gennaio 2022, 09:33 - Ultimo agg. 17:22
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«Vogliamo giustizia, certo. Ma soprattutto vogliamo che nessun altro soffra come noi». Tancredi è il figlio di Antonio Morione, il commerciante 41enne ucciso in un tentativo di rapina la sera del 23 dicembre scorso a Boscoreale. Era la sera che porta al cenone della Vigilia di Natale, quando le pescherie sono piene e in festa. Antonio fu strappato all'affetto dei suoi cari, fu colpito da un proiettile esploso da un balordo in fuga, che ha sparato almeno quattro volte ad altezza uomo. Le indagini, coordinate dalla Procura di Torre Annunziata (procuratore Nunzio Fragliasso, sostituti Giuliana Moccia e Andreana Ambrosino), vedono in prima linea la sezione operativa della compagnia dei carabinieri di Torre Annunziata e i carabinieri della stazione di Boscoreale. «Li ringraziamo, ci stanno dimostrando tutti i giorni la loro vicinanza» dice Tancredi, Teddy come lo chiamano amici e parenti, che ad appena vent'anni ha preso tutto su di sé il peso della famiglia Morione, affiancando mamma Maria nella conduzione della pescheria. «È quello che vorrebbe papà, so che lui mi guarda e mi guida. Lo facciamo per lui».

Nella pescheria ci sono anche la fidanzata e la sorella di Teddy. «Il suo sorriso contagioso è quel che ci manca di più dice Maria, commossa ma la sua macchinetta del caffè è sempre lì. La suonava come una campana e mi chiedeva di preparare il caffè, era come un rito, ed era sempre pronto ad offrirlo ai suoi clienti, che erano e restano la sua famiglia allargata». Con le lacrime agli occhi e alcuni clienti da servire, Maria lascia la parola a Teddy che con i suoi vent'anni mostra una responsabilità e una maturità fuori dal comune.

È già passato un mese.
«Sì, e ancora non riesco a credere che papà non ci sia più. Ogni mattina, quando con il furgone arrivo al negozio e la saracinesca è chiusa, ho sempre un tuffo al cuore. Prima era sempre lui ad aprire il negozio, adesso tocca a me. Ma lo faccio per mamma e le mie sorelle. E per lui, perché so che questo avrebbe voluto. Lui deve vedere che stiamo andando avanti nel suo segno».

Dove avete trovato la forza per ricominciare?
«Grazie all'affetto della gente. Il giorno del funerale, qui fuori al negozio c'erano centinaia di persone a rendere omaggio a papà. Da quel giorno in tanti vengono a trovarci a casa o qui nella pescheria, per darci un abbraccio, una stretta di mano, una parola di conforto.

C'è chi semplicemente ci è vicino con uno sguardo. In molti entrano ed escono piangendo, pensando a papà. Un cliente è addirittura venuto da Avellino, perché era rimasto colpito dalla nostra storia ed è venuto a incoraggiarci».

Chi era Antonio Morione?
«Un uomo buono, una brava persona, un onesto lavoratore. Il mio papà. Un esempio per me. La sua vita era tutta qui nella sua pescheria, fatta di tanti sacrifici e tanti insegnamenti. Io rappresento la quinta generazione in questo settore e sono fiero di portare avanti il lavoro nel nome di papà. È quello che lui mi ha insegnato».

Cosa le ha insegnato?
«Innanzitutto a sorridere. A essere educato e cordiale con le persone. A rispettare i clienti e le regole, a comportarmi bene con gli altri. Mi ha insegnato il lavoro e a essere un bravo ragazzo. Quando uscivo mi diceva sempre guida piano, fai attenzione, era premuroso con noi. Ma non solo con noi».

Davvero?
«Sì, non perché era il mio papà, ma era davvero una persona speciale. Lui dagli occhi capiva che una persona soffriva o era bisognosa. Ad esempio, c'era un gruppetto di extracomunitari che la domenica mattina passava davanti al negozio e guardava la merce in vendita. Lui se ne accorse, chiamò uno di loro e gli regalò del pesce. La settimana dopo venne a ringraziare e papà gliene regalò altro. E poi aveva la passione per gli animali, abbiamo la casa piena tra acquario e uccellini. E soprattutto, aveva una passione smisurata per i bambini. E sa una cosa?».

Cosa?
«C'è una bambina che passava tutti i giorni a salutarlo, lo chiamava zio Antonio. È venuta anche la mattina del 23, piangeva perché c'era tanta gente e non riusciva ad entrare. Ma papà uscì dal negozio solo per salutarla».

Ecco, siamo arrivati a quel giorno. Cosa è successo?
«Purtroppo tutti sanno cosa è successo. Il mio papà non c'è più. Di quella sera non voglio e non posso parlare, perché ci sono indagini in corso e ci siamo affidati completamente ai carabinieri e alla magistratura».

Adesso chiedete giustizia?
«È ovvio che chiediamo giustizia, ma siamo consapevoli che non potrà portarci indietro papà. Sappiamo anche che la giustizia ha i suoi tempi e non bisogna avere fretta. Ma speriamo che vengano arrestati presto perché non vogliamo che qualcun altro possa soffrire come noi e vivere il dolore profondo che ci ha colpiti».

Vuole dire qualcosa agli assassini di suo padre?
«Niente. So solo che non auguro neanche a loro quello che stiamo passando noi».
 

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