Napoli, lo zainetto che ci dice cos'è la vera sicurezza

di Raffaele Cantone
Mercoledì 10 Aprile 2019, 08:00 - Ultimo agg. 08:03
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L’immagine dello zainetto rosso accanto al lenzuolo che copre il corpo senza vita di Luigi Mignano non ripropone soltanto, con drammatica urgenza, il tema della sicurezza in città. Quanto accaduto al rione Villa è emblematico e al tempo stesso allarmante, in primo luogo proprio per un accostamento tanto innaturale. 

Quella cartella, adagiata vicino al cadavere di un pregiudicato, dimostra infatti plasticamente fino a che punto sia capace di giungere la follia omicida della camorra, che quasi a voler ostentare la propria irriducibile spietatezza non si ferma neppure davanti a un luogo sacro quale dovrebbe essere, anche per i criminali, un istituto scolastico, tanto più se durante l'orario di ingresso. Come se fosse del tutto naturale, non soltanto viene messo in conto il rischio di vittime collaterali ma neppure il rischio di colpire dei bambini in tenera età pare in grado di frenare la mano dei killer.

È una vicenda che nella sua sciagurata sconsideratezza riporta alla mente episodi cui speravamo di non dover più assistere, come quello che costò la vita a Silvia Ruotolo, la mamma uccisa nel 1997 all'Arenella da un proiettile vagante mentre tornava a casa insieme al figlioletto.

Nemmeno a farlo apposta, proprio ieri il riflesso delle dinamiche criminali in atto in città si è reso evidente in un altro episodio, meno clamoroso ma altrettanto indicativo. Nel corso del processo che si sta celebrando in tribunale, la Direzione distrettuale antimafia ha chiesto 14 anni di reclusione per il figlio di un boss di Fuorigrotta che nel 2017 fece fuoco tra la folla nella zona dei Baretti, ferendo quasi mortalmente un coetaneo appartenente a un clan rivale.

Due episodi, benché non collegati fra loro, che mostrano con chiarezza come a Napoli, contrariamente a quanto avvenuto con altre organizzazioni mafiose, non solo la camorra non si è inabissata ma continua a manifestare con spregiudicatezza il suo volto più violento. È del tutto comprensibile, dunque, la vibrata reazione della preside della scuola Vittorino Da Feltre, vicina al luogo dell'agguato, che ha chiesto di posizionare una camionetta dell'esercito come deterrente: «I bambini sono spaventati, ma anche gli adulti. Io stessa ho paura», le sue parole, che danno voce a un senso di angoscia diffuso, acuito peraltro dai timori legati alla prevedibile vendetta del clan colpito.

È innegabile che a Napoli si pone un problema di ordine pubblico ormai non più rinviabile, anche alla luce degli attentati dinamitardi che nelle settimane scorse hanno colpito numerosi esercizi commerciali, alcuni anche celebri. La risposta delle istituzioni non può essere soltanto quella di consentire ai cittadini di armarsi, quasi a delegare ai singoli la propria incolumità, in una implicita ammissione di impotenza. La gestione dell'ordine pubblico e il controllo del territorio è il primo dei doveri di uno Stato degno di questo nome. Aumentare le pattuglie e assicurare una maggiore presenza delle forze dell'ordine è solo il primo passo e sarebbe illusorio credere che basti a risolvere i problemi. Oltre a disincentivare le azioni violente nei luoghi più sensibili, tuttavia, una misura del genere (promessa ma poi rimasta inattuata) sarebbe quanto meno in grado di rassicurare i cittadini, che hanno il sacrosanto diritto di portare i loro figli a scuola senza il timore di finire in mezzo a sparatorie e agguati camorristici.
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