Ostaggio di due famiglie rom,
a Scampia l'auditorium è negato

Ostaggio di due famiglie rom, a Scampia l'auditorium è negato
di Giuseppe Crimaldi
Venerdì 2 Novembre 2018, 09:28
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Sul lungo filo di nylon panni e coperte che servono a nascondere materassi stesi per terra. Poco più in là brillano i fusibili di una stufa elettrica, accanto a un tavolino che conserva ancora i residui di un bivacco modesto: una tazza di caffelatte e qualche fetta biscottata. L'immagine è quella di un accampamento, ma se pensate a una tendopoli vi sbagliate, perché siamo all'interno dell'Auditorium della Ottava Municipalità, quella di Scampia. Quattordici mesi dopo il rogo che distrusse il campo rom di via Cupa Perillo, il degrado regna sovrano. Qui continuano a vivere due famiglie di rom la cui storia è diventata ormai un caso emblematico e surreale al tempo stesso. Perché se da un lato la stragrande maggioranza di sfollati ha finito con l'accettare l'offerta del Comune di cinquemila euro a nucleo familiare per lasciare la struttura comunale e trovarsi una sistemazione alternativa, dall'altro le ultime due famiglie che ancora occupano l'ampio salone multifunzionale al piano terra - a due passi dal commissariato della Polizia di Stato - sostengono di non farcela proprio più a vivere in quelle condizioni.



IL DEGRADO
La verità è che mentre si consuma un braccio di ferro tra gli ultimi irriducibili e il Comune di Napoli, a farne le spese sono i residenti di Scampia, da oltre un anno privati della struttura municipale. E lo squallore in cui è precipitato l'Auditorium è ormai sotto gli occhi di tutti. L'occupazione permanente continua a privare la collettività di una struttura indispensabile. Da dietro una delle coperte sciorinate per separare le «camere da letto» spunta una donna di mezza età. Smetha ha 43 anni, e insieme al marito Predrag e alla figlia 15enne è una dei dieci irriducibili «superstiti» per i quali la vita è diventata, semmai, ancor più un inferno di quanto lo fosse prima nel campo arso dall'incendio del 27 agosto 2017. Prova a mettere a posto le due ciocche di capelli nerissimi che le incorniciano il volto che esprime senza infingimenti sofferenza. Senza nemmeno capire se stia parlando con un assistente sociale o con un cronista solleva la blusa e mostra la ferita ancora fresca di un'operazione chirurgica a stomaco e intestino: «Guarda qua - dice in un buon italiano - vedi come sono messa? Io sono malata, soffro del morbo di Crohn (grave patologia infiammatoria cronica recidivante, ndr): secondo te può mai farmi piacere continuare a dormire per terra, a mangiare cose che non dovrei mangiare, a lavarmi con l'acqua gelata?».

 

LA POLEMICA
Da un altro angolo del dormitorio spunta suo marito Predrag. «Giornalisti? Ancora qui siete... Venite, scattate foto, fate domande ma poi per noi niente cambia. Nessuno ci aiuta». Predrag è arrivato a Napoli tre anni fa dalla Serbia e quasi maledice quel giorno. Per campare si arrangia vendendo rotoloni di carta da cucina in giro per la città. Se gli si chiede perché - contrariamente a quella sessantina di connazionali che alla fine hanno accettato di lasciare l'Auditorium di Scampia in cambio dei cinquemila euro offerti da Palazzo San Giacomo - di lì non vuole andar via risponde senza esitazione: «E che cosa ci facciamo con cinquemila euro io, mia moglie e mia figlia? La nostra baracca è stata bruciata, non abbiamo più niente. Mia moglie deve prendere tante medicine, i farmaci costano. Poi bisogna pur mangiare. L'assessore Gaeta aveva preso un impegno, promettendo di aiutarci con la Questura...». E qui si arriva finalmente al punto: al vero motivo che induce questa decina di persone che ancora occupano l'Auditorium (tra loro anche tre minori): il permesso di soggiorno.

L'ATTESA
Sono sempre Smetha e Predrag a parlare. «Vuoi sapere davvero perché gli altri hanno lasciato questo posto e noi no? Ecco perché: loro avevano tutti il permesso di soggiorno. Noi, invece, ancora lo aspettiamo. E il Comune ci aveva promesso di aiutarci, nelle pratiche per il rilascio, con la Questura. Invece non hanno fatto niente. E noi sappiamo che in queste condizioni, andandocene via di qui, finiremmo in mezzo a una strada. Scrivilo, se hai il coraggio!». Naturalmente il diritto di replica, ora, è dell'assessore titolare al Welfare: ma ieri non siamo riusciti a metterci in contatto con Roberta Gaeta.

LA SOLIDARIETÀ
Quel che resta nell'Auditorium della comunità rom di Cupa Perillo oggi sopravvive, nelle condizioni che abbiamo descritto, facendo i conti quotidianamente con l'incertezza del futuro. Ma tra i dieci irriducibili sembra montare di giorno in giorno anche la rabbia. «Come si fa a consentire tutto questo? - incalza Predrag - Nemmeno in un paese del terzo mondo si tollera quello che tollerate voi in Italia. Che schifo, è una vergogna!». Tra qualche ora Smetha dovrà ricoverarsi nuovamente al Cardarelli per le cure necessarie alla malattia invalidante che l'affligge. E in ospedale rimarrà almeno per una decina di giorni. «Grazie a Dio - prosegue - in questo quartiere c'è ancora gente di buon cuore. Persone che ci aiutano: da don Sergio, un sacerdote che ci assiste fornendoci primi generi di necessità, ai ragazzi del ristorante che si trova qui su, al primo piano della Municipalità. Per il resto, niente. Ma noi siamo esasperati: e se il Comune non ci darà una mano siamo pronti a denunciare tutti. Ma proprio tutti».
 
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