«Non ci fu solo imprudenza e imperizia, ma anche negligenza dovuta ad ignoranza». Una frase che pesa come un macigno, quella pronunciata dalla pm Andreana Ambrosino (nella foto sul luogo della tragedia) durante la prima parte della sua lunga requisitoria. Il processo è quello del crollo del palazzo di Rampa Nunziante, la tragedia che sconvolse Torre Annunziata la mattina del 7 luglio 2017. Sotto le macerie dell'edificio persero la vita otto persone, tra cui due bambini. A processo, un anno dopo, finirono sedici persone, sei delle quali accusate di crollo e omicidio plurimo colposo. E dopo quasi tre anni di dibattimento, ieri è iniziato l'ultimo capitolo processuale dinanzi al giudice Francesco Todisco, chiamato a decidere se questi imputati siano o meno colpevoli.
La prima parte della discussione del pubblico ministero, che rappresenta in aula la Procura di Torre Annunziata, ha riguardato solo la vicenda del crollo in sé, che poggia sulla perizia a firma del professor Nicola Augenti. Secondo l'accusa, l'immobile era completamente abusivo, non era mai stato regolarizzato, non doveva essere alto cinque piani.
Durante le oltre cinque ore di discussione, con due interruzioni, la pubblica accusa ha ricostruito minuziosamente tutta la vicenda, a tratti toccante. Alcuni familiari delle vittime hanno abbandonato l'aula in lacrime. Con Cuccurullo, persero la vita la moglie Edy Laiola, il figlio Marco, la famiglia di Pasquale Guida e Anna Duraccio con i figli Salvatore e Francesca, e la sarta Pina Aprea. Tra una settimana l'udienza con la seconda parte della requisitoria della pm, che formulerà le richieste di condanna per i sei imputati perché «il crollo era prevedibile ed evitabile».