Palazzo crollato a Torre Annunziata, il pm: «Negligenza e ignoranza»

Palazzo crollato a Torre Annunziata, il pm: «Negligenza e ignoranza»
di Dario Sautto
Giovedì 4 Febbraio 2021, 09:53
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«Non ci fu solo imprudenza e imperizia, ma anche negligenza dovuta ad ignoranza». Una frase che pesa come un macigno, quella pronunciata dalla pm Andreana Ambrosino (nella foto sul luogo della tragedia) durante la prima parte della sua lunga requisitoria. Il processo è quello del crollo del palazzo di Rampa Nunziante, la tragedia che sconvolse Torre Annunziata la mattina del 7 luglio 2017. Sotto le macerie dell'edificio persero la vita otto persone, tra cui due bambini. A processo, un anno dopo, finirono sedici persone, sei delle quali accusate di crollo e omicidio plurimo colposo. E dopo quasi tre anni di dibattimento, ieri è iniziato l'ultimo capitolo processuale dinanzi al giudice Francesco Todisco, chiamato a decidere se questi imputati siano o meno colpevoli.



La prima parte della discussione del pubblico ministero, che rappresenta in aula la Procura di Torre Annunziata, ha riguardato solo la vicenda del crollo in sé, che poggia sulla perizia a firma del professor Nicola Augenti. Secondo l'accusa, l'immobile era completamente abusivo, non era mai stato regolarizzato, non doveva essere alto cinque piani.

Ma a far crollare il palazzo sarebbero stati i lavori al secondo piano, nell'appartamento che l'ex assessore provinciale Massimiliano Lafranco aveva promesso in vendita a Gerardo Velotto. Lavori, secondo l'accusa, eseguiti dal semplice mastro operaio Pasquale Cosenza «che non aveva le giuste competenze». A dirigere le opere «abusive» ci sarebbero stati gli architetti Aniello Manzo e Massimiliano Bonzani, mai ingaggiati ufficialmente ma «incaricati oralmente da Velotto». Lavori abusivi dei quali Roberto Cuomo, in qualità di amministratore del condominio, avrebbe potuto e dovuto bloccare. Accuse ben precise, quelle della pm Ambrosino, che non risparmia neanche Giacomo Cuccurullo, una delle vittime del crollo, anche lui architetto e tra l'altro dipendente comunale nel settore edilizia, incaricato di controllare la sicurezza degli immobili. «Durante l'interrogatorio ha sottolineato il pubblico ministero Cuomo spiegò che durante l'ultima riunione condominiale per discutere dei danni strutturali ormai visibili, avvenuta il giorno prima del crollo, si era fidato dei tre architetti Manzo, Bonzani e Cuccurullo. Loro hanno dimostrato di essere tre soggetti impediti, che non hanno riconosciuto i gravi danni strutturali e si sono fatti crollare il palazzo addosso». Giacomo Cuccurullo per l'accusa resta «imputato, anche se solo tra parentesi perché deceduto» per una scelta ben precisa: da architetto poteva e doveva capire che il palazzo stava per crollare. Invece, la sera del 6 luglio andò a dormire in quella casa che si trasformò anche nella sua tomba.

Durante le oltre cinque ore di discussione, con due interruzioni, la pubblica accusa ha ricostruito minuziosamente tutta la vicenda, a tratti toccante. Alcuni familiari delle vittime hanno abbandonato l'aula in lacrime. Con Cuccurullo, persero la vita la moglie Edy Laiola, il figlio Marco, la famiglia di Pasquale Guida e Anna Duraccio con i figli Salvatore e Francesca, e la sarta Pina Aprea. Tra una settimana l'udienza con la seconda parte della requisitoria della pm, che formulerà le richieste di condanna per i sei imputati perché «il crollo era prevedibile ed evitabile».
 

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