Emergenza violenza a Napoli, intervista a Paolo Siani: «Troppi minorenni a giudizio, dateci assistenti sociali»

Emergenza violenza a Napoli, intervista a Paolo Siani: «Troppi minorenni a giudizio, dateci assistenti sociali»
di Valentino Di Giacomo
Lunedì 18 Luglio 2022, 11:10 - Ultimo agg. 14:20
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«La repressione da sola non può funzionare, la magistratura da sola non può bastare per affrontare un fenomeno così ampio. Abbassare l'età imputabile agli under 14 è solo una parte del problema, non la soluzione». Paolo Siani, deputato del Pd, da componente della commissione Affari Sociali e di quella per l'Infanzia e l'Adolescenza, si occupa da tempo del problema della devianza minorile. Del resto Siani la violenza la conosce sulla propria pelle per aver perduto un fratello, Giancarlo, ucciso dalla camorra per le sue inchieste sul Mattino. 

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Perché è contrario all'abbassamento dell'età imputabile? Non crede che ormai i ragazzini commettano i reati più abietti anche perché vivono quasi una sensazione di impunità?
«Per affrontare un tema bisogna partire dai dati. È verissimo che il problema della violenza giovanile sia ormai trasversale e che a commettere reati per fatti di sangue siano anche figli di buona famiglia.

Nell'ultimo anno sono stati 5mila, in Campania, i minori che sono entrati a contatto con la giustizia minorile, di questi però il 65% proviene da famiglie che hanno già conosciuto il carcere. Non solo, ma questi ragazzi - come mi spiegava il Garante dei detenuti, Samuele Ciambriello, hanno un linguaggio piuttosto povero, consistente in circa una cinquantina di vocaboli dialettali».

Tutto vero, ma dopo così tanti episodi forse insieme ai soliti discorsi che facciamo da anni sulla prevenzione servirebbe anche un po' di pugno duro. Non crede?
«Non è che una cosa esclude l'altra. Il vero tema, però, è occuparsi di questi ragazzi prima che facciano i danni. Ci vuole una scossa della politica, non possiamo prendercela solo con le forze dell'ordine o con la magistratura. Quando un ragazzino di 15 anni varca un'aula di giustizia o un carcere minorile la battaglia è già persa. Mi chiedo, ad esempio, del 16enne che ha sfregiato la ragazzina di 12, prima questo giovane qualcuno lo ha intercettato? Chi si è occupato di lui prima di quel gesto? Gli interventi fatti in repressione e fatti tardi servono poco».

Ha scritto ieri Antonio Polito sul Corriere del Mezzogiorno che a sinistra si giustifica sempre questa violenza con le condizioni sociali, a destra si invoca invece la responsabilità individuale. Vuole confermare questo assunto?
«Essere di sinistra vuol dire rimuovere le disuguaglianze e, al contempo, non cancellare le responsabilità individuali. Guardi, sia Polito che Andrea Di Consoli l'altro giorno sul Mattino, hanno centrato il punto. Il problema è culturale: cosa bisogna fare per invertire la rotta su questa cultura della violenza da parte dei giovani? Per me servono investimenti, ma veri, non a chiacchiere. E questo lo può fare solo la buona politica, non importa se di destra o di sinistra. L'errore è dividersi: serve la prevenzione e la repressione, una cosa non esclude l'altra».

Quindi?
«Quindi serve un esercito di assistenti sociali. Se andiamo a fare i conti nella legge di bilancio è stato approvato un provvedimento che prevede un assistente sociale ogni 5mila abitanti. Diventa una barzelletta se ci sono Comuni, soprattutto nel Napoletano e nel Sud, dove al massimo c'è un solo assistente sociale per l'intero Comune. Se non si rimette in moto la macchina del welfare non andiamo da nessuna parte. Se manca tutto questo anche la repressione diventa inutile, non possiamo mettere un poliziotto dietro ogni ragazzo, vanno cambiati i comportamenti».

Ma come cambiano i comportamenti se poi non si punisce. Quanti ragazzini, ad esempio, vanno a tre sugli scooter senza casco? Magari anche sfrecciando sotto agli occhi delle forze dell'ordine?
«La repressione serve e va effettuata con tutti i mezzi, ma anche qui il problema è culturale. Quegli stessi ragazzini se vanno a Milano il casco lo mettono, è un tema di cultura dominante, in altre città certe regole sono rispettate. Il problema non si risolve arrestando tutti, ma arrivare un minuto prima».

Il presidente Posteraro ritiene vadano puniti anche i genitori se i loro figli commettono dei reati. Può servire?
«Serve dare un'educazione alla genitorialità, nei casi estremi anche togliere la patria potestà per salvare i bimbi quando è ancora possibile. Ma serve un lavoro nel lungo periodo, non soluzioni facili che non si realizzeranno mai dalla sera alla mattina». 

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