Paranza dei bimbi a Napoli, killer condannato a 18 anni: uccise un innocente per vendetta

Paranza dei bimbi a Napoli, killer condannato a 18 anni: uccise un innocente per vendetta
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 16 Dicembre 2019, 23:00 - Ultimo agg. 17 Dicembre, 14:33
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Quando si ritrovò di fronte ai suoi carnefici si limitò a dire poche parole: «Non so niente di questa storia, sono un meccanico. Lavoro dieci ore al giorno in questa officina, non conosco il covo delle persone che cercate. Sono un lavoratore». Parole che non mossero a pietà il suo killer, che fece fuoco, stroncando la vita di un ragazzo estraneo alla camorra, un meccanico ucciso nella sua officina di via Carbonara a soli 21 anni.
Una ricostruzione confermata in questi giorni dalla sentenza di Assise appello del Tribunale dei Minori, che ha condannato alla pena di 18 anni Antonio Napolitano, oggi maggiorenne, come responsabile del delitto di Luigi Galletta. Era minorenne Napolitano, quando fece fuoco. E aveva davanti a sé un 21enne con la tuta da lavoro e le mani sporche di grasso, la schiena a pezzi per quel continuo sdraiarsi sotto i veicoli da riparare, per capire in che punto mettere mano. Giudice Stanziola, arriva la condanna bis per Napolitano: diciotto anni (come in primo grado), nessuno sconto. 

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Forcella anno 2015, centro storico ridotto in una polveriera. Quelli dei Buonerba riescono a spezzare la morsa di sangue e paura imposta da Emanuele Sibillo, il regista della paranza dei bimbi: riescono ad uccidere proprio lui, il boss emergente, Emanuele Sibillo; poi, qualche giorno dopo, uccidono Luigi D’Apice, ritenuto fedelissimo della paranza di Sibillo. Due a zero e tanta paura. Ma a Forcella c’è chi medita vendetta. Iniziano rappresaglie, stese e spari in aria, ma sembrano solletico contro chi ha ucciso il capo dei «bimbi». Parte da qui la decisione di dare inizio a una sorta di caccia all’uomo, di battere palmo a palmo i vicoli più antichi della città. È così che gli eredi di Sibillo si recano in via Carbonara, nell’officina di Luigi Galletta, meccanico incensurato che ha una sola «colpa»: la parentela con uno dei fedelissimi del boss Buonerba.

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C’è un primo round, violento, sanguinario. Galletta viene circondato e picchiato, perché si ostina a non rivelare alcun particolare sul covo del suo parente. Decide di non denunciare, a casa si limita a dire di essere caduto mentre lavorava in officina. Una bugia a fin di bene per non preoccupare i propri genitori. Intanto, però, la violenza va avanti. Scade l’ultimatum e i killer si ripresentano in officina, questa volta armati e decisi a dare un segnale all’intero territorio. Luigi Galletta viene ucciso senza alcuna pietà, dopo aver provato a convincere i suoi carnefici su un concetto elementare: «Non c’entro niente con queste storie, non ho notizie segrete da rivelare, sono un meccanico, lavoro dieci ore al giorno. Punto». In questi giorni, è arrivata la conferma della condanna di primo grado, firmata dal giudice di Assise appello del Tribunale dei Minori Stanziola: diciotto anni per Napolitano, ripreso in videoconferenza. 

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Difeso dal penalista napoletano Riccardo Ferone, ora Napolitano attende di conoscere le motivazioni della condanna bis e punta a un probabile ricorso per Cassazione. Decisive in questi anni le indagini condotte dai pm Francesco De Falco e Henry John Woodcock, culminate in decine di condanne a carico dei protagonisti di una stagione di morte priva di senso. Secondo la ricostruzione della Dda, i Sibillo (uniti agli Amirante, Giuliano e Brunetti) puntavano a cacciare da Forcella e dal centro storico i Mazzarella (a cui erano legati i Buonerba). Uno scontro che si è consumato in particolare in una strada a pochi passi dal commissariato Vicaria, quella via Oronzio Costa battezzata via della morte, per ricordare il colpo alla schiena di Emanuele Sibillo, la morte di un capo sventolata come un trofeo dai Buonerba, che diede vita a una rappresaglia di sangue che spezzò la vita di un meccanico incensurato. 
 

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