Posticipa di sei mesi la progressione della malattia, riduce le dimensioni del tumore nel 70 per cento dei pazienti, ne prolunga di undici mesi la sopravvivenza e interessa soprattutto i fumatori e gli ex fumatori. Eccoli, i risultati di uno studio scientifico dell'istituto Pascale di Napoli presentati questa mattina a Parigi al congresso annuale della Societa europea di oncologia medica (Esmo).
La sperimentazione è stata denominata "Beverly", dall’incontro di un farmaco “intelligente” già in uso nelle terapie, l’Erlotinib, e un farmaco anti-angiogenico, che blocca cioè la capacità del tumore di crearsi dei propri vasi sanguigni, il Bevacizumab, ed è stata promossa e gestita da Marilina Piccirillo, in collaborazione con l’unità Sperimentazioni cliniche dell’Istituto partenopeo, diretto da Franco Perrone, e l’Oncologia toraco-polmponare guidata da Alessandro Morabito.
Coinvolti 160 pazienti arruolati nel 2016. «Parliamo di pazienti – spiega Piccirillo – con tumore del polmone che presenta una specifica mutazione genetica a carico del gene chiamato Egrf, che la rende sensibile a una categoria di farmaci intelligenti, e che rappresentano circa il 15 per cento del totale dei pazienti con tumore del polmone nei paesi occidentali».
Non solo. I dati suggeriscono di esplorare in ulteriori studi clinici se l’aggiunta dei farmaci che contrasta la capacità dei tumori di costruirsi i propri vasi sanguigni possa risultare efficace anche in associazione ad altri farmaci diretti contro la mutazione dell’Egfr, in particolare nei pazienti fumatori o ex fumatori al momento della diagnosi. «Nelle nostre analisi il beneficio dell'associazione con Bevacizumab sembra molto maggiore nel gruppo dei pazienti fumatori o ex fumatori», spiega Piccirillo. E, nei prossimi mesi, è prevista l'analisi dei campioni di sangue raccolti nel corso dello studio per valutare anche l'utilità della biopsia liquida, mediante la collaborazione dell'unità di Biologia molecolare e Bioterapie diretta da Nicola Normanno. Obiettivo: verificare se è possibile identificare gruppi di pazienti con maggiori o minori probabilità di trarre un beneficio dal trattamento con l’associazione di Bevacizumab e Erlotinib. «È davvero motivo di orgoglio che un progetto interamente di questo valore sia stato pensato, progettato e coordinato dal nostro Istituto – conclude il direttore generale del Pascale, Attilio Bianchi - , in particolare da una ricercatrice che, pur essendo molto giovane, ha già al suo attivo una serie di riconoscimenti internazionali».