Pino Daniele. La Capria: «Napoli è gelosa di chi deve andare in esilio» | Commenta

Pino Daniele. La Capria: «Napoli è gelosa di chi deve andare in esilio» | Commenta
di Silvio Perrella
Mercoledì 7 Gennaio 2015, 16:22 - Ultimo agg. 16:25
4 Minuti di Lettura






In apparenza i mondi di Raffaele la Capria e Pino Daniele sono distanti. La musica che ha permeato la formazione dello scrittore è più riconducibile alla voce di Roberto Murolo. E infatti La Capria all'inizio della conversazione si schermisce: «Di Pino Daniele non credo di sapere abbastanza - dice - anche perché appartengo a una generazione diversa dalla sua, quando non era ancora nata quella musicalità che lui ha inventato. Ai miei tempi l'unico che un po' mi può far pensare a Pino Daniele è Renato Carosone, che però era più distaccato e più ironico».

Ma questo iniziale «non sapere abbastanza» è sufficiente a stabilire un rapporto; il rapporto tra due napoletani che con la loro città hanno ingaggiato un poetico litigio. Non sei stato proprio tu a definire così il tuo rapporto di odioamore per Napoli, gli dico.

«E questo vale anche per Pino Daniele?».



Ti ticordi i versi di Kavafis, rivolti a chi lascia la propria città d'origine? ”Né terre nuove troverai, né nuovi mari - scandisce il poeta - Ti verrà dietro la città”.

«È vero: come quella del poeta, Napoli è una città che ti segue; anzi, correggerei la poesia dicendo che è una città che t'insegue. T'insegue perché te la porti nella mente».



Alludi alle tue immagini primarie, a quelle immagini che nascono prima della coscienza e poi si trasformano in immagini mentali, delle quali hai parlato anche di recente, durante il tuo ritorno a



Palazzo donn'Anna?

«Sì, intendo proprio quelle. E quelle nascono in un luogo preciso del mondo e per me quel luogo è Napoli».



E quali sono le tue?

«Lo sai: la bella giornata, che è attraversata da un'ombra, l'attesa della felicità, il dolore, il mondo come acqua».



Ti posso assicurare che queste immagini sarebbero state perfette anche per Pino Daniele. È lui che ha scritto come hai fatto tu del mare in città; di quel mare che ti fa la bocca salata mentre la percorri in su e in giù.

«Sì, anche lui sapeva che il mare bagna Napoli, e che il rapporto con il mare, cioè con la natura, è uno dei caratteri distintivi della città. Sai, una cosa ho capito sentendo le canzoni di Pino Daniele: quanto più profondamente Napoli è se stessa, quanto più scende nelle sue più oscure scaturigini attraverso una combinazione del suono con il dialetto, tanto più è universale e si appalesa al mondo. La lingua e le favole del Pentamerone, la canzone spavalda napoletana, quella che cantava: ”chi mme piglia pe' per frangese/ chi mme piglia pe' spagnola/ ma so' nata ‘o conte ‘e Mola/ e metto ‘a coppa a chi vogl'i”, o quella di Pino Daniele che risveglia la città. Come l'ululato del lupo nella notte risveglia il cane addomesticato e lo riporta alle sue origini. Sempre questo ci ricordano: che Napoli, più è Napoli più la si scopre misteriosamente vicina dovunque ci si trovi».



Vuoi dire che locale e universale, quando c'è di mezzo Napoli possono darsi la mano?.

«Voglio dire che in un mondo raffreddato dalla modernità tecnologica e mediatica, canzoni come quelle di Pino Daniele riescono a comunicare un calore spirituale e a toccare le corde più sensibili dell'animo umano; ed è commovente sapere che tutto questo spesso parte da un povero vicolo sprofondato nelle viscere della città».



Ricordo che tu salutasti il lavoro di Massimo Troisi come una novità linguistica nel mondo della cosiddetta napoletanità. Quel che ti colpiva era il modo in cui usava il silenzio, quel suo rasentare l'afasia. È un immagine che contraddice il solito folklore della napoletanità. E credo che possa estendersi anche a Pino Daniele.

«Massimo Troisi e Pino Daniele rappresentano l'ineffabilità dei gesti, dei suoni e dei segni che vengono prima delle parole e le oltrepassano».



Però ciò non toglie le difficoltà che ognuno di loro – e la stessa cosa vale anche per te - ha avuto con la propria città. Torniamo al poetico litigio.

«Amore e odio spesso si confondono ed è la gelosia il sentimento che meglio esprime questa conflittualità delle emozioni. Quante volte, tornando a Napoli, mi sono sentito rimproverare dallo stesso pubblico che prima mi aveva applaudito, il fatto di essere andato via da Napoli, come se questa non fosse stata una mia scelta obbligata ma una colpa, quasi una diserzione. La stessa cosa viene rimproverata a Pino Daniele, ma proprio questo esprime quella confusione emotiva, oscillante tra l'amore e l'odio, che prima ho definito gelosia. Anche Napoli è gelosa di Pino Daniele e gli rimprovera la sua diserzione. Ed è proprio l'amore con le sua ambivalenze a creare queste situazioni».



Vuoi anche dire che con questa gelosia, e con i risentimenti che comporta, la città deve imparare a fare i conti? Sai, a volte penso che dovremmo fare una sorta di generale bonifica dei rancori e da lì ripartire.

«Una bella bonifica dei rancori non farebbe certo male né a Napoli, nè all'Italia tutta. Ma adesso permettimi di ribaltare i ruoli. Posso chiederti perché consideri Pino Daniele un grande?».



Perché è stato un vero musicista, non solo un cantautore, e nei suoi momenti migliori è stato un poeta. E perché ha inventato un linguaggio per dire la città alla città stessa, ma anche al mondo.

«Allora sei d'accordo con me quando prima sostenevo che Napoli più è stessa e più diventa universale. Napoli, la sempre vituperata, risuscita continuamente; davvero c'è nella città qualcosa che non muore, come le canzoni di Pino Daniele».



È forse per questo che hai pianto guardando il film ”Passione” di John Turturro?

«Io non so dirlo bene, ma è come se quelle canzoni avessero smosso e strappato qualcosa a lungo depositato in fondo a me stesso, e questo qualcosa per via di quelle canzoni mi prendeva alla gola. Capivo che tutto quel mondo musicale faceva parte di me, era nascosto in una parte di me che non conoscevo o, come si dice, nel mio inconscio. Ed era maturato lentamente, trasformandosi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA