Poliziotto ucciso a Napoli, la perizia choc: «In auto a 140 all'ora, così i rom ammazzarono Apicella»

Poliziotto ucciso a Napoli, la perizia choc: «In auto a 140 all'ora, così i rom ammazzarono Apicella»
di Leandro Del Gaudio
Martedì 8 Dicembre 2020, 12:30
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Viaggiavano a 140 chilometri orari e la loro auto era in accelerazione non in frenata. Erano in controsenso, erano riusciti a seminare già un paio di vetture della polizia, speronandole e gettando oggetti contundenti dal finestrino (una chiave inglese o una ruota di scorta), pensavano di aver guadagnato una via di fuga, ma dinanzi a una terza auto della polizia, si sono trovati di fronte a una scelta: che fare? Rallentare e consegnare i polsi? O accelerare e provare ad impedire l'intervento degli agenti, magari nella speranza di indovinare il corridoio giusto? Questione di secondi, tutto in una manciata di attimi che hanno provocato la morte del poliziotto Pasquale Apicella, l'agente scelto che la mattina del 27 aprile scorso non si tirò indietro, non si sottrasse al proprio dovere. Oggi a mettere un punto fermo sulla morte di Lino è l'ingegnere Fabio Manfredi, che firma una consulenza di sessanta pagine sullo schianto di via Calata Capodichino, per conto della Procura di Napoli. È il punto chiave del processo che si deve celebrare a carico di tre cittadini rom, imputati per omicidio volontario, indicati come responsabili della morte del poliziotto. Un documento che riguarda la velocità delle due auto che si sono scontrate: quella della polizia (una Seat Leon), che viaggiava a 79 chilometri orari; la Audi Rs usata dai tre rom (rubata nel corso di una notte di razzie), che venne lanciata controsenso e a fari spenti alla velocità di 140 chilometri orari. Un impatto catastrofico, anche perché dall'analisi tecnica del ctu della Procura non c'è alcun segnale di rallentamento. Il mezzo venne usato a mo' di ariete. 

Terza Corte di Assise, presidente Lucia La Posta, sono imputati per la morte di Apicella Fabricio Hadzovic, 40 anni (difeso dall'avvocato Cesare Amodio) l'autista dell'Audi A6 che si è scontrata a tutta velocità contro la «Pantera» della Polizia sulla quale si trovata Pasquale Apicella; poi gli altri due passeggeri dell'auto rubata, vale a dire Admir Hadzovic, 27 anni (difeso dall'avvocato Raffaella Pennacchio) e il 39enne Igor Adzovic (difeso dall'avvocato Giovanni Abbate); l'ultimo componente della banda, il 23enne Renato Adzovic (anche lui difeso da Raffaella Pennacchio), non risponde dell'omicidio volontario, in quanto non era a bordo dell'A6, ma è sotto inchiesta per reati cosiddetti minori (furto, danneggiamento, rapina). 

Difesi dall'avvocato napoletano Gennaro Razzino, sia la moglie che i genitori di Pasquale Apicella si sono costituiti parte civile, in un processo destinato a tornare in aula il prossimo 23 dicembre.

Istruttoria non ancora aperta, sono pronti a chiedere di costituirsi parte civile anche il Ministero dell'Interno e il Comune di Napoli, di fronte al danno arrecato dalla banda di rapinatori alla polizia e all'intera comunità di cittadini, accanto all'Associazione vittime del dovere e alla fondazione Polis che sono stati ammessi come parti offese già nell'udienza della prossima settimana. Un processo che ruota attorno al dato tecnico, al termine delle indagini dei pm Battiloro e Curatoli, dal momento che i tre imputati sono stati arrestati poco dopo lo scontro (erano tornati nel campo di Giugliano) e hanno reso una confessione solo parziale: hanno ammesso la rapina alla banca di credite Agricole (ma anche altri colpi consumati nella stessa nottata), negando però di aver avuto l'intenzione di uccidere l'agente. Ora dovranno confrontarsi con quella accelerata finale, che ha trasformato la loro auto in un proiettile su quattro ruote esploso alla velocità di 140 chilometri sulla vita di un agente di polizia.

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