Pompei, condannati i tombaroli: «Hanno saccheggiato la villa del carro»

Pompei, condannati i tombaroli: «Hanno saccheggiato la villa del carro»
di Dario Sautto
Martedì 21 Settembre 2021, 12:00
3 Minuti di Lettura

Sono Giuseppe e Raffaele Izzo i due tombaroli che hanno partecipato agli scavi clandestini, a Pompei, alla ricerca di una biga di epoca romana. A stabilirlo è la sentenza di primo grado emessa ieri dal giudice del tribunale di Torre Annunziata, Silvia Paladino, che ha condannato padre e figlio rispettivamente a tre anni e mezzo e a tre anni di reclusione. Secondo il giudice non ci sono dubbi: sono loro i responsabili del saccheggio di Civita Giuliana, all'esterno delle mura dell'antica Pompei, dove da tre anni è iniziata una campagna di scavi che sta regalando scoperte uniche. Assistiti dagli avvocati Francesco Matrone e Maria Formisano, ieri i due Izzo hanno provato a spiegare le proprie ragioni. «Dal cellaio sotto casa Izzo poteva accedere chiunque e scavare i tunnel, nonostante ci fosse il catenaccio» è stata la tesi difensiva, con i due legali che hanno provato a far crollare il castello accusatorio puntando anche sulla mancanza di «proroghe di indagini per gli altri reati contestati, ad eccezione della ricettazione, per la quale il pm ha chiesto l'assoluzione». Danneggiamento del patrimonio archeologico, scavo clandestino, impossessamento illecito di beni culturali e violazione dei sigilli sono i reati per i quali il procuratore aggiunto Pierpaolo Filippelli lo scorso luglio aveva chiesto la condanna di Giuseppe e Raffaele Izzo, ritenuti dagli inquirenti «due tombaroli recidivi che non hanno mai mostrato segni di ravvedimento». Eppure, secondo la difesa degli imputati, con il traffico di beni archeologici «si diventa ricchi, invece uno degli imputati è addirittura ammesso al gratuito patrocinio». Secondo il giudice, però, i due imputati dovranno risarcire in sede civile il Parco Archeologico di Pompei per i danni arrecati con il saccheggio, stimati dall'ex direttore Massimo Osanna in circa due milioni di euro. Nel corso delle indagini, interi affreschi strappati dalle pareti sono stati recuperati nel laboratorio di un restauratore, pronti per essere rivenduti sul mercato nero insieme a oggetti e cimeli trafugati da quella immensa e straordinaria villa romana, visitata dai tombaroli con oltre 70 metri di cunicoli clandestini. 

 

Le indagini della Procura di Torre Annunziata erano ripartite nel 2017, quando è arrivata la segnalazione della ripresa degli scavi clandestini, già interrotti diverse volte a partire dal 2009. Nonostante il ruolo dell'informatore anche lui ricettatore di oggetti antichi sia ritenuto dai difensori «ambiguo» anche perché in causa da anni con gli Izzo, stavolta l'indicazione era precisa: i tombaroli cercavano la biga romana di cui parlava già nel 2004 il collaboratore di giustizia Saverio Tammaro, ex affiliato al clan Cesarano. A gennaio, gli scavi della Soprintendenza hanno portato al ritrovamento di un carro da cerimonia, oggetto unico e di rara bellezza, lambito da uno dei cunicoli clandestini. Decisivo è stato il ruolo del brigadiere Salvatore Sorrentino, che ha seguito le indagini accanto ai carabinieri del nucleo tutela patrimonio culturale di Napoli ed ha testimoniato per diverse udienze. «Questa sentenza - commenta il procuratore Nunzio Fragliasso - è un ulteriore riconoscimento dell'impegno della Procura di Torre Annunziata a tutela dell'immenso patrimonio archeologico del circondario, della sinergia con il Parco Archeologico di Pompei e del lavoro profuso dall'aggiunto Pierpaolo Filippelli».

Tra 90 giorni si conosceranno le motivazioni della decisione. 

Video

© RIPRODUZIONE RISERVATA