«Da Taranto, il trafficante internazionale di reperti archeologici Raffaele Monticelli si disse pronto a finanziare gli scavi clandestini per riportare alla luce la biga di Civita Giuliana». A rivelarlo ieri in aula è stato il luogotenente Massimiliano D'Onofrio, per oltre dieci anni in servizio al nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei carabinieri di Napoli, ieri mattina testimone al processo contro Giuseppe e Raffaele Izzo, due presunti tombaroli di Pompei. Chi è Monticelli? Oggi quasi 80enne, è ritenuto tra i più grossi ricettatori di reperti archeologici al mondo, tra i primi tre in Europa «con solide basi all'estero e rapporti privilegiati con i più importanti musei internazionali» come ha spiegato il teste chiamato a rispondere alle domande del procuratore aggiunto di Torre Annunziata, Pierpaolo Filippelli, che rappresenta l'accusa in aula. Se avesse messo le mani su quel carro nuziale, un reperto unico e straordinario, Monticelli avrebbe insomma saputo come piazzarlo. Sottraendolo per sempre agli occhi del mondo.
IL PENTITO
Ieri sono stati chiamati a testimoniare nove tra carabinieri e vigili del fuoco che hanno partecipato ai vari sopralluoghi e sequestri dei cunicoli nel corso degli anni.
LA SCUDERIA
Con un comunicato congiunto dell'ex soprintendente Massimo Osanna e del procuratore Nunzio Fragliasso, poche settimane fa è stato invece il Parco Archeologico di Pompei, insieme alla Procura di Torre Annunziata, ad annunciare il ritrovamento del carro romano in quella area fuori dalle mura pompeiane. Un ritrovamento eccezionale, nella zona tuttora sottoposta a scavi, con una parte ancora da riportare alla luce. Lì nella scuderia dell'immensa domus romana sono stati ritrovati i calchi dei cavalli bardati e tutto fa presagire che possano esserci altre scoperte ancora. L'udienza è proseguita con l'ascolto di diversi vigili del fuoco, che hanno preso parte ai vari sopralluoghi del 2009, 2014, 2015 e 2019. Dai riscontri è emerso come i cunicoli erano scavati sotto terra per 25, 30, 50 fino a 70 metri di lunghezza in totale. «Nel corso degli anni gli scavi non si erano mai fermati, nonostante i sequestri» è l'accusa. Significativa la testimonianza di un caposquadra che aveva preso parte a più sopralluoghi nel corso degli anni. «Nel 2015 misurammo circa 50 metri di tunnel ha spiegato e alla fine c'era un muro di terreno con i segni dei saggi, dei buchi forse fatti con uno spillone. Nel corso degli anni ho potuto riscontrare che i lavori erano andati avanti e all'ultimo sopralluogo era stati sospesi da poco. Forse poche settimane. Erano stati ricavati altri tunnel, ramificazioni di quello principale». La scoperta della carriola permise di capire che c'era un altro ingresso (trovato nella baracca degli attrezzi degli Izzo) che aveva un varco più ampio.