Portici: morta a 18 anni, sembrava suicidio. Indagate tre amiche

Portici: morta a 18 anni, sembrava suicidio. Indagate tre amiche
di Leandro Del Gaudio
Domenica 24 Febbraio 2019, 23:00 - Ultimo agg. 25 Febbraio, 07:57
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Prima di chiudere il caso, vogliono leggere le conclusioni tecniche, quelle affidate a esperti di ingegneria e a medici legali, a proposito della traiettoria di un corpo che cade dal sesto piano di un palazzo. Perché la storia di Roberta Scarcella - un giallo da cold case - ruota attorno a domande semplici, elementari nella loro drammaticità: c’è stata una spinta su quel corpo di giovane donna volato giù dal sesto piano, all’interno del palazzo in cui abitava? E la sua caduta, corrisponde alla traiettoria di un corpo che si lascia andare nel vuoto sull’onda - forse - di uno smarrimento improvviso? Sono i quesiti che tengono ancora aperta la lunga notte di Roberta, da quando la ragazza (aveva 18 anni) venne trovata morta all’interno dello stabile in cui abitava, in via Cellini a Portici, zona della buona borghesia cittadina. Un suicidio, secondo una ricostruzione immediata, anche se poi le indagini hanno battuto altre piste, quella dell’istigazione al suicidio e dell’omicidio preterintenzionale, a carico delle tre amiche che vissero accanto a Roberta le sue ultime ore di vita. Anche per loro, l’ultima notte di Roberta è ancora buio pesto. 
 
Ma questa mattina, sette anni dopo, è attesa una possibile svolta, con l’udienza a porte chiuse dinanzi alla 42esima sezione gip del Tribunale di Napoli. In sintesi, il giudice vuole conoscere le conclusioni di un pool di periti a cui sono affidate le domande di partenza, al termine di un incidente probatorio fissato all’inizio dello scorso anno dal pm Giorgia De Ponte. Un caso lento e controverso, quello di Roberta. Per due volte la Procura di Napoli ha chiesto l’archiviazione del fascicolo aperto contro ignoti e per due volte il gip ha rigettato le istanze del pm, suggerendo integrazioni probatorie che hanno reso necessario il coinvolgimento delle tre amiche di Roberta. Erano con lei quella notte del 15 settembre del 2012, dopo aver trascorso qualche ora in discoteca. Ragazze sane, studentesse e lavoratrici, tutte ben integrate nel tessuto cittadino, finite loro malgrado al centro di un giallo. È stato il gip Valerio Natale, in questi anni a riaprire il caso, sulla scorta di una serie di «discrasie» emerse dalla testimonianza fornita dalle tre amiche di Roberta, ma anche dalla posizione di una scarpa trovata sulle scale, non accanto al cadavere; altro punto anomalo riguarda invece la testimonianza di una condomina che (probabilmente con l’orecchio incollato alla porta) allude a una sorta di litigio prima della tragedia. Ma andiamo con ordine a partire dai dati certi di questa storia: era triste Roberta, perché aveva saputo che l’ex fidanzato aveva intrecciato una nuova relazione con un’altra ragazza; aveva bevuto qualche bicchiere di troppo, tanto da chiedere alle amiche di accompagnarla a casa, non essendo in grado di guidare; era una ragazza serena, felice, non aveva mai fatto cenno a propositi di suicidio, né la fine del flirt poteva scatenare propositi estremi; quella sera, una volta raggiunta la propria abitazione decise di non entrare in casa, ma di aprire la finestra e di sedersi sul davanzale per una boccata d’aria. 

Ma al di là di queste certezze iniziano i dubbi, le domande, alla luce delle contraddizioni emerse dalla testimonianza delle tre amiche e indicati dal gip: una di loro sostiene che la ragazza fosse seduta dando le spalle alla finestra, mentre le altre due amiche dicono di aver visto Roberta lanciarsi in avanti, facendo leva con i gomiti e le braccia. Possibile non avere le idee chiare su un punto così delicate? Altri nodi riguardano invece il tempo impiegato dalla ragazza a saltare giù dalla finestra, nonostante un presunto tentativo di una delle tre di afferrarla per il busto e le gambe. E non è tutto: agli atti anche una misteriosa frase («il problema non l’ho creato io, che sono adulta, maggiorenne e vaccinata»), riportata da una vicina di casa agli inquirenti: chi urlò quelle parole? Agli atti inoltre anche un’altra frase attribuita a un amico del gruppo che avrebbe provato a zittire una delle tre, a indagini in corso («sali in auto, che ne parliamo dopo»). Dettagli, particolari suggestivi, in attesa delle conclusioni del pool di periti attesi per questa mattina. Difese dagli avvocati Renato Buonaiuto, Maurizio Capozzi (che si avvale della consulenza dell’ex generale del Ris Luciano Garofano), Gennaro Malinconico, le tre giovani donne hanno sempre respinto ogni responsabilità sulla morte dell’amica, ricordando anche il tentativo in extremis di salvare la ragazza da un improvviso e imprevedibile momento di difficoltà. Anche loro, sette anni dopo, aspettano il timbro di un giudice per chiudere i conti con il buio pesto di quella maledetta notte porticese.