Pride Napoli 2022, le voci di Antonio, Moony, Marco e Sara: «Ecco cos'è per noi il Pride»

gay Pride
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di Anna Menale
Martedì 5 Luglio 2022, 18:30 - Ultimo agg. 6 Luglio, 19:00
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Che cos’è, oggi, il Pride per chi lo vive? Che cosa significa far parte della comunità Lgbtqia+ di Napoli? Che cosa dovrebbero comprendere davvero le persone? 

Antonio, Moony, Marco e Sara hanno risposto a queste domande. 

«Il Pride è l’opportunità che noi della comunità Lgbtqia+ abbiamo di far sentire la nostra vocina. Anche se abbiamo delle belle voci, diventano delle vocine di fronte a ciò che ci ostacola. Mi infastidisce che il Pride oggi venga ancora considerano come una sceneggiata, quando in realtà è una manifestazione importante perché non è solo un modo per esprimere la propria identità, ma per lottare al fine di ottenere dei diritti», sostiene Antonio. «Far parte della comunità Lgbtqia+ a Napoli è importantissimo, anche perché a Napoli le discriminazioni sono belle pesanti. Io e i miei amici ci uniamo a delle organizzazioni e ci abbracciamo un po’ tutti, ci teniamo mano nella mano e cerchiamo di contrastare queste forze conservatrici - aggiunge - Voglio che si capisca che la comunità Lgbtqia+ serve a testimoniare il fatto che le persone che ne fanno parte subiscono ancora delle discriminazioni, la community esiste perché abbiamo ancora bisogno di lottare per i nostri diritti. Voglio che le persone capiscano quanto sia sbagliato utilizzare certe parole (che non sono solo parole) o certi atteggiamenti. Non dovrebbe esserci più stupore di fronte ad un coming out. Se io racconto a qualcuno di essere gay, non voglio che mi venga detto “Oddio, che bello!” e neppure “Oddio, che schifo!”, perché sono entrambe delle forme di discriminazione. Deve essere una cosa del tutto normale, non deve più esserci una sorpresa - e conclude - Di episodi di discriminazione io, purtroppo, ne ho vissuti tantissimi. La vergogna di farmi vedere in un’intervista deriva proprio da ciò. Quando ero più piccolo ero anche abbastanza religioso, ero affascinato dal concetto della religione (ancora oggi lo sono, ma sono agnostico) e sin dalle elementari ho sofferto per questa cosa, dal momento che venivo categorizzato con dei termini che oggi non dovrebbero essere utilizzati. Alle medie non te lo faccio neanche immaginare! Tutti questi insulti, queste parole brutte, mi hanno influenzato e sono diventate parte di me. Ero solo un bambino, e i bambini sono come delle spugne che trattengono e conservano tutto ciò che la gente spunta loro in faccia. Quindi da piccolo reprimevo tantissimo la mia sessualità, poi ho capito che non ne valeva la pena. Questa sorta di low self esteem, però, c’è ancora oggi. Anche se vado in un bar, o esco con i miei amici, mi vengono sempre lanciate delle occhiate e mi vengono urlati dei brutti termini. E tu devi stare zitto perché non vuoi finire in situazioni pericolose. È difficile, nonostante siamo nel 2022».

Moony racconta: «Che cos’è per me il Pride? Un po’ difficile rispondere, perché da quando sono out non ho ancora avuto l’opportunità di andare al Pride, però credo sia fondamentale in quanto è un modo per dare voce a chi non ne ha una e per festeggiare la propria esistenza, la scoperta di sé e la riaffermazione di sé. È anche un modo per sostenere altre persone che hanno fatto un percorso diverso, ma allo stesso simile al tuo. È un modo per dire “Io ci sono, sono qui, e se hai bisogno sono la tua spalla”. Il Pride ti permette di sostenere altre persone e le loro storie - prosegue - Far parte della comunità Lgbtqia+ a Napoli è un’esperienza personale. Io vivo soprattutto l’ambiente universitario di Napoli, e lì non mi è mai capitato di subire discriminazioni. Da un lato credo sia possibile essere se stessi, ci sono dei luoghi che sono abbastanza sicuri per le persone della comunità. È semplice se hai un sistema di appoggio, se sei lasciato a te stesso è un po’ difficile tra la paranoia di uno sguardo e le parole che non sempre vengono calibrate. Nella tradizione, per esempio, ci sono parole che vengono utilizzate molto alla leggera e invece feriscono». E conclude: «Vorrei che le persone capissero che siamo semplicemente esseri umani che vivono al di fuori di un sistema prefissato, che abbiamo ambizioni, desideri e voglia di vivere.

Non si tratta di una moda. Solo perché adesso ci sono più persone out non vuol dire che siamo una moda, ma che c’è un minimo di libertà in più. La comunità Lgbtqia+ c’è sempre stata, le persone della community ci sono sempre state, è solo che per anni hanno dovuto nascondersi, hanno dovuto nascondere le proprie identità. Vorrei che si capisse che se si imparasse un minimo ad ascoltare, ad ascoltare l’altro e le sue esperienze, si potrebbe capire tanto. Non c’è nulla di male, nulla di sbagliato. E si dovrebbe smettere di utilizzare la religione come scudo, come pretesto per non accettare la community». 

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Marco dice: «Io ho provato ad avere più a che fare con la comunità Lgbtqia+ di Napoli dal 2013 al 2017 circa e, devo dirti la verità, non mi ci sono trovato eccessivamente bene perché neanche le varie associazioni presenti sul territorio sembrano avere davvero interesse nel progredire in ambito di diritti civili. Diciamo che tutta la questione del Pride mi sembra quasi essere una valvola di sfogo. Per carità, va bene, ma non affronta davvero i problemi reali che ci sono. Le persone non sembrano essere interessate ai problemi esistenti, il tutto si esaurisce nella questione Pride, punto, nella sfilata. Sarebbe bello se le persone si rendessero conto che il Pride è importante, ma non è sufficiente. Far parte di una comunità dovrebbe voler dire fare di più rispetto ad organizzare un evento all’anno, considerando la quantità terrificante di delitti d’odio, di discriminazioni sul lavoro, di impossibilità di trovare casa in affitto per le persone della community. Non ci si occupa veramente di queste situazioni. Se risulto amareggiato, è perché lo sono», e aggiunge, «Per quanto riguarda episodi di discriminazione, ce ne sono parecchi, ma quello che più mi ha colpito è stato del tutto inaspettato. Purtroppo in quanto persona appartenente alla comunità Lgbtqia+ quando sei con il tuo partner un po’ te lo aspetti, e quella volta non stava accadendo nulla di particolare. Stavo semplicemente parlando con un mio amico. Io sono molto, usando il termine inglese, straight-passing, mentre questo mio amico no. Stavamo parlando, anche ad un buon mezzo metro di distanza l’uno dall’altro, e un gruppo di ragazzini comincia ad urlarci dietro e a lanciarci sassi e pietre contro, ma anche roba importante. Quella volta sono finito al pronto soccorso con un taglio sulla nuca. È stato estraniante da vivere a Napoli, che dovrebbe essere anche una città abbastanza aperta». 

 

Sara racconta: «Per me il pride è sia un modo per celebrare il proprio modo di essere, sia un qualcosa per ricordare che si deve lottare per i propri diritti e non dare neanche per scontati quelli giá ottenuti. Per fortuna Napoli è una delle città più aperte per la comunitá Lgbt, almeno secondo la mia esperienza, forse mancano locali come gay bar veri e propri o quantomeno io non li conosco. In realtà non voglio che capiscano qualcosa, ma che si accetti che ognuno ha il suo modo di vivere e dare più diritti a una fetta di popolazione non toglie niente a nessuno. Per quanto riguarda episodi di discriminazione io mi ritengo fortunata per cui il massimo che mi è capitato era una persona un po' pazza che se la prese con me e la mia ragazza per un bacio, ma in realtà l'alterco durò poco e se ne andò quasi subito».

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