Primo maggio a Napoli, la doppia paura tra coronavirus e lavoro in bilico

Primo maggio a Napoli, la doppia paura tra coronavirus e lavoro in bilico
di Antonio Menna
Venerdì 1 Maggio 2020, 09:30
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Compagni dai campi e dalle officine, prendete il computer e accendete la cam. I cancelli della Whirlpool di Napoli che ha riaperto lunedì scorso dopo cinque settimane di fermo a causa del lockdown - si chiudono, come sempre, il Primo maggio. Non parte il corteo e non si affolla la piazza ma gli operai, tornati nello stabilimento tra ipnotiche misure di sicurezza, con visiere, tute, gel e mascherine, non mancheranno di riflettere su loro stessi e sul futuro. È un giorno di festa - sempre più listata a lutto - ma non vi si rinuncia, soprattutto in questo periodo, stretto nella doppia tenaglia della paura: il virus e la crisi economica. Il Covid-19 scompagina le grammatiche e costringe a cose tutte nuove. Così il Primo maggio, la classe operaia va nella piazza virtuale. Appuntamento sulla pagina Facebook del comitato di lotta, nel pomeriggio, all'ora in cui per tradizione si accendevano i suoni di piazza San Giovanni, con una mega manifestazione in videoconferenza. Tante finestrelle aperte, faccioni in primo piano che spuntano dalle camere da letto, dalle cucine, dai salotti. «Hanno dato la loro adesione in tanti - dice Vincenzo Accurso, della Rsu Whirlpool di Napoli -. Sarà una lunga manifestazione virtuale, tante voci e analisi, dalle quindici fino a sera. Noi dobbiamo tenere tesa la nostra tela, non stancarci di parlare e di mobilitarci».

Si accenderanno le webcam dell'assessore regionale, Sonia Palmieri e anche di quella comunale Monica Buonanno, ma ieri per annunciare la giornata del Primo Maggio sul sito dell'assessorato del Comune è stata pubblicata una locandina con il cancello di Auschwitz e la scritta il lavoro rende liberi, più precisamente in tedesco, Arbeit macht frei. Il lavoro come l'ingresso di un campo di concentramento? Dopo alcune ore l'immagine è stata rimossa con le scuse dell'assessore, ma la gaffe ormai era stata notata da molti. «Una distrazione certo imperdonabile - scrive Buonanno - ma avvenuta nel contesto di un ufficio che in questi giorni sta lavorando per fronteggiare le infinite emergenze». Sarà, ma ormai la frittata è di quelle che pesano.
 


La paura del virus si legge intanto negli occhi di chi, nello stabilimento di Ponticelli, varca di nuovo la soglia del grande cancello. Sono rientrati quasi tutti il 27 aprile, distribuiti su due turni. Ma l'ingresso nei locali incute timore. Due addetti alla sorveglianza con tute, guanti, calzari, mascherine e visiere prendono la temperatura a ogni operaio. Chi è in regola passa il tornello. Dentro, a cominciare dall'atrio, percorsi protetti, distanze segnate a terra. Negli spogliatoi, la vestizione. Guanti e mascherine, e gel sanificante ovunque, per igienizzare le mani. Nello stabilimento che vanta, con tanto di cartello celebrativo all'ingresso, di non avere incidenti sul lavoro da decenni, ora la sicurezza parla una lingua nuova. Fa paura la malattia prima ancora della catena di montaggio delle lavatrici di alta gamma. Ma gli operai ogni volta che si chiude la fabbrica com'è successo lo scorso 22 marzo per il virus - temono di non tornarci più, e quando riapre è sempre una festa. «Meglio essere qui che stare a casa», dice una giovane lavoratrice. «Quando riaprono le attività è sempre un buon segno di speranza. La paura c'è ma le misure di sicurezza mi pare siano rispettate».

E poi c'è la paura di perdere tutto. Il ritornello, nella fabbrica ritrovata, è: riaprire per non chiudere più. La data di scadenza, del resto, come per uno yogurt, è già scritta sulle tute blu. Trentuno ottobre, data di chiusura delle attività. Addio stabilimento, è l'ultima tappa di questo paradossale stop and go. Chiusura, apertura, nuova chiusura. Si vive così, in questi corridoi limpidi che sembrano corsie di ospedale: come in autunno, a casa, gli operai, ad aspettare la fine. Ma la scommessa, qui, è quasi un azzardo: questa crisi globale mescola le carte e chissà che dal mazzo non esca questa volta la dea della fortuna. «Da questo momento dice Vincenzo Accurso, della Rsu può accadere qualunque cosa. Il coronavirus ha cambiato gli equilibri globali. Prima nel grande gioco della multinazionale, noi dovevamo essere sacrificati per spostare produzioni altrove. Ma adesso? Tutti i mercati sono in crisi. Tutti i Paesi danno incertezze, soprattutto in oriente. Conviene a una multinazionale chiudere uno stabilimento produttivo, buono, affidabile per andare ad aprire proprio adesso chissà dove? Magari è la volta buona per rimescolare tutto e tornare in campo con grandi progetti di produzione nazionale. Abbiamo visto quanto sia determinante, in momento come questi, avere sul proprio territorio linee produttive e non dipendere dall'estero. Noi scommettiamo sul futuro, sul mondo nuovo che arriverà dopo questa epidemia». Questa sì che è fiducia.
Mentre l'economia globale si lecca la ferita e guarda nubi nere, a Ponticelli si legge la crisi come opportunità. Magari dal male nasce un bene. Una fabbrica che doveva chiudere, un puntino minuscolo sulla mappa degli affari globali, diventa una luce tra mille esplosioni. «Non siamo più solo noi dicono gli operai -. La crisi è esplosa nel mondo. Si torna ai nastri di partenza ma qui abbiamo produttività e innovazione. Magari qualcuno se ne accorge». Oltre la paura, come fosse un giardino, c'è la speranza. Se ne parlerà nelle videochat del Primo maggio, oggi. «Buona Festa a chi un lavoro lo ha perso, a chi lo cerca e soprattutto a chi lo difende», annunciano gli operai. Scendete giù in piazza, picchiate con quello. Scendete giù in piazza, avviate la chat.

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