Cumuli di macerie e famiglie allo stremo: il Natale triste dei terremotati di Casamicciola

Cumuli di macerie e famiglie allo stremo: il Natale triste dei terremotati di Casamicciola
di Adolfo Pappalardo
Sabato 16 Dicembre 2017, 08:34 - Ultimo agg. 19:37
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Inviato a Ischia

L'altra sera a Lacco Ameno sparavano i fuochi d'artificio. Nella vicina Casamicciola, invece, hai voglia ad affidarti e santi e beati, non c'è nulla da festeggiare. Manco il Natale che 2900 sfollati continueranno a farsi senza casa. Chi in una camera d'albergo, chi su un materassino a mo' di letto in una dimora-vacanze dall'altra parte dell'isola con già tre pigioni anticipati di tasca propria. E il rimborso ancora non si vede.

La settimana prossima sono 4 mesi esatti da quella tremenda scossa del 21 agosto. Le vittime sono due. Un miracolo per una scossa di quella portata, ma la morte ora gli sfollati di Casamicciola se la portano dentro. Via, lontano da una zona rossa dove i lavori, anche quelli di messa in sicurezza, sono fermi perché i soldi sono finiti e anche le poche case agibili che pure potrebbero essere riaperte, rimangono sbarrate. Abitate solo dai gatti, preda di scalcinati ladri che di notte s'infilano a rubare qualcosa, e dai proprietari che ogni due giorni sono costretti a violare la zona off limits per controllare. Un andirivieni di passi perduti dopo avere spostato le transenne e preso qualcosa. Una coperta, un giocattolo per il figlio o un documento che ti chiede la dannata burocrazia per avere il contributo. Poi tutti al presidio di piazza Maio, a pochi metri dalle quelle case. Come naufraghi attaccati tenacemente ad una zattera alla deriva. «Noi da qui non ci muoviamo», dicono le donne davanti al presidio dove hanno allestito una cucina: si mangia assieme a pranzo e cena sotto lo sguardo protettivo di padre Giuseppe Morgera, il venerabile ex parroco che fu estratto dalle macerie del sisma del 1883 e qui è considerato più di un santo.
 


«Era meglio si murevo», mi dice con la lacrime agli occhi Luisa Senese quando ti porta nella sua casa di Casamicciola divorata lentamente dalle infiltrazioni di pioggia di questi giorni. «Io e mio marito 57 anni fa la costruimmo con i soldi che ci prestarono i parenti e chissà quando ci torniamo qui. Se ci torniamo». Già. E si torna ai fuochi d'artificio dell'altra sera: un piccolo festeggiamento a Lacco per la fine dei lavori di consolidamento e puntellamento fatti dai vigili del fuoco. Così si restringe la zona rossa e si permette a una trentina di famiglie (le cui case non hanno subìto lesioni) di lasciare l'albergo. Certo qui a Lacco Ameno l'area off limits è più piccola e gli sfollati sono 600, cinque volte in meno di Casamicciola, ma è già qualcosa. «Non è molto, lo so bene, ma 30 famiglie potranno festeggiare il Natale nella loro casa», spiega il sindaco forzista di Lacco Giacomo Pascale che è riuscito ad aprire pure due scuole e i suoi studenti non devono sorbirsi ogni giorno quelle di Ischia porto. Lui almeno un ufficio ce l'ha ma se scendi giù a Casamicciola c'è il vero disastro: tutto inagibile. Tutte le scuole di ogni ordine e grado, tutte e cinque le parrocchie e il comune sistemato in un ex ristorante sul porto. Con aspetti paradossali se entri nell'ufficio dal sindaco Castagna e alle sue spalle ci sono ancora le scritte «pizza anche a pranzo».
 
«Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere», dice Annalisa Iaccarino, sanguigna vicepresidente del comitato degli sfollati che da quattro mesi si batte per incalzare sindaci e commissari. «I lavori di messa in sicurezza sono fermi. Appena tre cantieri aperti per puntellare altrettanti palazzi: ma solo uno è ultimato, per gli altri due sono finiti i soldi e le ditte private hanno detto stop», dice la Iaccarino, che ha un albergo tra le due zone rosse e già sa che, «se continua così, salta pure la prossima stagione. Ma chi vuoi che venga a passare la vacanze a Beirut?». E aggiunge: «Quando bastava affidare almeno i lavori di consolidamento ai Vigili del Fuoco come hanno fatto a Lacco. E forse potevamo festeggiare pure noi...». «Basterebbe sgomberare almeno via casa Mennella e ci sarebbero almeno 20 famiglie che potrebbero tornare a casa perché non ci sono lesioni. Sarebbe già qualcosa: un segnale, un lumicino che si accende», spiega Michele Di Costanzo che ha una struttura alberghiera accanto all'edificio da cui furono tratti in salvo i due bambini il giorno dopo il sisma. «Iniziamo a lavorare, facciamo qualcosa, sgomberiamo un po' di detriti altrimenti - aggiunge - è un lento morire nell'attesa che accada qualcosa». Ed in effetti, a parte i due check point dei militari, agli ingressi della zona rossa qui non c'è traccia di nulla. Tutto vuoto. Spettrale e niente che si muova a quattro mesi dalla scossa. Un bulldozer, un mezzo meccanico qualsiasi. Anche una carriola e una pala in movimento basterebbero per dare l'idea che si faccia qualcosa. Nulla. Il nulla. «Un'attesa infinita di non so nemmeno più che cosa», dice Aniello Castagna che ha varcato, lui come tanti, una zona teoricamente chiusa a tutti, solo per mettersi a sistemare l'orto. «No, non sono pazzo - quasi giustifica - ma devo fare qualcosa sennò esc pazz: la casa è inagibile, le terme dove lavoravo pure e la mia famiglia sistemata in due case diverse». «E mia figlia che dorme su un materassino in una casa da schifo e paga 800 euro al mese», aggiunge. Eccolo il Natale prossimo venturo di chi vive(va) a Casamicciola. Tra una casa che non c'è più e il lavoro pure. «Sono stato licenziato: l'albergo ha chiuso prima del previsto perché c'è stato un calo enorme di presenze e sono stato licenziato. E quei 4 soldi da parte li ho presi per tre mesi di affitto». E il Cas, il contributo per l'alloggio? «E chi l'ha visto», dice Giuseppe Di Costanzo mentre sposta le transenne per tornare a casa. «Sì lo so, rischio una multa: ma vado a dare da mangiare ai polli e ai conigli. Ho 5 figli e una moglie e qualcosa a tavola la devo pure mettere a Natale». Storie ordinarie di sfollati, simili se non uguali, che si sentono ormai abbandonati in questa sorta di oblio quasi tangibile al tatto. Case diroccate e, nel migliore dei casi, anche agibili ma in cui non puoi entrare perché sei in questa maledetta zona rossa. E chissà per quanto tempo ancora.

«Qui, capiamolo, è avvenuto un terremoto. Ter-re-mo-to», scandisce il sindaco di Casamicciola Giovanbattista Castagna. Forzista anche lui come la maggior parte dei sindaci dell'isola, dice di avere «le mani legati da una burocrazia che non capisce in che condizioni stiamo lavorando. Io non cerco e non voglio giustificazioni ma ci troviamo in una situazione di difficoltà enorme». «Con i primi giorni - aggiunge - senza un ufficio perché il comune è inagibile e con i protocolli da fare a mano. Meno male che c'era questo ex ristorante appena tornato nelle nostre disponibilità, altrimenti non so come avremmo fatto», dice indicando la ex cucina appena tinteggiata che è diventata l'ufficio tecnico. E sul fatto che lui abbia preferito affidarsi a ditte private invece dei vigili del fuoco spiega: «I costi erano simili, la legge lo permette ed abbiamo preferito questa soluzione. Capisco la rabbia ma a breve - ora abbiamo 99mila euro a disposizione - inizieremo a lavorare in via Mennella per portare via i detriti e creare un altro varco nella zona rossa». E se sui contributi sull'affitto «da un paio di giorni sono partite le prime erogazioni», rimane il problema di chi ti dà una mano. «Non credete che sia facile. Qui nessuno è andato in tenda come accaduto altrove e i problemi, per un piccolo comune in pre-dissesto, diventano enormi. Speriamo ora cambi qualcosa con la nomina di un commissario per la ricostruzione». Sempre che martedì prossimo negli emendamenti al Bilancio passi la proposta (firmata dal deputato pd Leonardo Impegno appoggiato dai suoi colleghi democrat) di nominare il governatore Vincenzo De Luca, commissario per la ricostruzione con una dote iniziale di 50 milioni (anche se le stime indicano ora 400 milioni). Perché ad oggi l'unica figura è quella del commissario per l'emergenza. Uno che le tragedie le ha vissute sulla proprio pelle. «Io capisco la rabbia della gente: sono di Episcopio, la frazione più colpita dall'alluvione di Sarno. Ci siamo salvati ma io ho rimesso piede a casa dopo 5 anni ed 8 mesi», avverte Giuseppe Grimaldi, nominato commissario per l'emergenza di Ischia nove giorni dopo il sisma e che deve gestire un budget di 25 milioni per tamponare le emergenze. Poi tutta la fase successiva, quella più nevralgica e delicata della ricostruzione, dovrebbe passare nelle mani di Vincenzo De Luca.

«Le zone rosse non sono di mia competenza ma toccano al commissario per la ricostruzione da nominare» premette Grimaldi prima di inforcare il problema più complicato che sinora nessuno si è ancora preso la briga, non di risolverlo, ma almeno di iniziarci a ragionare. «A Ischia è tutto più complicato: parliamo - ragiona - di una zona che ha caratteristiche diverse da altri luoghi interessati da eventi sismici. Un'area delicata e complessa dove occorre capire se convenga abbattere e ricostruire sic et simpliciter o farne un caso pilota». In che senso? «Alcuni edifici non sono adeguati alle norme attuali e sono localizzati in un'unica micro-area con strade strettissime e con una criticità sismica enorme. Mi chiedo: non sarebbe il caso di pensare di recuperare anche altre aree edificabili o, comunque, di modificare almeno una parte delle infrastrutture? Ci sono 600 case da ricostruire e 250mila tonnellate di inerti da smaltire su un'isola e non sappiamo ancora quali criteri adoperare. Domande ancora senza risposta su cui dobbiamo riflettere anche chiedendo aiuto a progettisti di fama se è il caso. E, comunque, ritengo sia necessario studiare una legge speciale per Ischia altrimenti non ne usciamo».

Sui ritardi, sui lavoro affidati a ditte private e non ai vigili del fuoco tira dritto: «La legge prevede entrambe le possibilità ma io già dal primo giorno mi permisi di suggerire - aggiunge Grimaldi - come i caschi rossi avrebbero gestito meglio l'emergenza. Perché più preparati e non legati, ovviamente, al pagamento degli stati di avanzamento dei lavori. Ma non sono stato ascoltato», dice duro facendo balenare come spesso i rapporti tra commissariato e sindaci non siano proprio idilliaci. E sugli immobili abusivi come avverrà la ricostruzione? «Anche in Centro Italia c'è stato lo stesso problema: occorre iniziare a valutare le richieste di condono che sono depositate nei comuni e verificare se ci siano le condizioni di ristoro per la ricostruzione».

«Una mano, solo la mano che abbiamo chiesto al ministro Minniti e sarebbe già un miracolo», chiede il sindaco di Lacco Ameno Giacomo Pascale. «Come accaduto per altri comuni colpiti dal terremoto - spiega - servono persone per far girare la macchina comunale. Lavoriamo anche il sabato e la domenica e non riusciamo a stare dietro alle rendicontazioni richieste dei lavori: noi siamo in dissesto ma 4 impiegati in più, se li potessimo assumere, servirebbero a far funzionare il Comune in questo momento. Minniti ci promise una mano in questo senso e a noi sarebbe di grande aiuto. Almeno per ora», aggiunge il primo cittadino che si dice soddisfatto e sui fuochi d'artificio dell'altra sera glissa quasi timoroso di ritrovarsi attaccato: «Abbiamo finiti i puntellamenti e 30 famiglie potranno tornare a casa entro Natale. Non è molto, lo so, ma è un segnale di speranza riuscire a restringere la zona rossa. Altrimenti non si riparte. Viviamo di turismo e dobbiamo fare miracoli: le aziende turistiche, gli alberghi, i ristoranti, devono riaprire altrimenti è la fine. Per il turismo e per le casse comunali: io non posso tenere il bilancio in piedi senza le entrate garantite prima da 3 alberghi, 5 ristoranti e 250 case». E sinora la strada intrapresa mi sembra sbagliata. In che senso? «Spenderemo milioni di euro per puntellare manufatti che magari andranno giù. Aveva senso? Io dico di no». E anche lui, come tutti, incalza: «Il governo si muova: serve un commissario per la ricostruzione». Una pausa e aggiunge perentorio: «Subito. Perché o ci diamo da fare leviamo le macerie per strada o di turisti non ne vedremo più per un bel po'».
 

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