Napoli, foto hot viste da 40mila utenti: 15enne vittima di revenge porn denuncia il suo ex

Napoli, foto hot viste da 40mila utenti: 15enne vittima di revenge porn denuncia il suo ex
di Leandro Del Gaudio
Domenica 31 Gennaio 2021, 23:04 - Ultimo agg. 1 Febbraio, 12:16
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Si può essere vittima di revenge porn a soli quindici anni? Si può essere autore di ricatto sessuale a soli quindici anni? È giusto ritrovare i particolari della propria vita privata in un gruppo frequentato da oltre quarantamila persone? Per essere più chiari, è possibile assistere le proprie foto private (immagini nude, spedite al proprio ex in momenti di complicità), con tanto di volto, nome e cognome e indirizzo di casa, date in pasto a un gruppo visitato da decine di migliaia di utenti? Sono le domande da cui prende le mosse un’inchiesta della Procura di Napoli, che sta mettendo a fuoco un brutto caso che vede vittima e protagonisti due studenti napoletani.

Due ragazzini, nati e cresciuti in un ambiente ovattato, lontano chilometri dal degrado di certi contesti metropolitani. Siamo a Napoli, quartiere Chiaia, dove si è consumato appena qualche mese fa un caso di ricatto sessuale, l’ennesimo, attraverso un sistema di messaggistica istantanea su cui da tempo l’autorità giudiziaria italiana cerca di intervenire senza ottenere particolari risultati. Non daremo ovviamente particolari sulla vita dei soggetti coinvolti, a tutela di un principio - il rispetto della privacy di ragazzi giovanissimi -, ma raccontiamo questa storia solo nel tentativo di contribuire ad arginare un fenomeno dilagante: il ricatto sessuale - revenge porn, appunto - che macina numeri impressionanti, specie tra i giovanissimi. I fatti. Studenti iscritti in un istituto cittadino, vittima e indagato sono ora al centro di un fascicolo giudiziario, condotto dal pm della Procura dei minori Ettore La Ragione.

Non è l’unico fascicolo in materia, ce ne sono tanti, tutti maledettamente simili. Proviamo a raccontare quanto emerge dai pochi atti di indagine, a partire dalla denuncia di parte spedita agli uffici dei Colli Aminei. Ha solo quindici anni la vittima di questa storia. Ha una relazione di pochi mesi con un suo coetaneo, studente iscritto nella sua stessa scuola. Un fidanzatino, una breve fiamma, qualcosa di passeggero. Si lasciano. Pochi mesi dopo, l’orrore di ritrovarsi nuda in un gruppo consultato da decine di migliaia di contatti. Ad accorgersene è un conoscente comune, amico di entrambi, che avvisa la ragazzina.

Iniziano le indagini a ritroso e la ragazzina ricorda di aver mandato al proprio ex alcune foto che la ritraevano nuda, ai tempi del loro breve flirt. Facile immaginare lo choc. Già perché, a leggere la denuncia, la ragazza sulle prime era convinta che le sue foto fossero state date in pasto a poche persone, magari rimanendo nella ristretta cerchia delle proprie conoscenze. Ha ovviamente riconosciuto le immagini spedite all’ex, ha anche ricordato i sorrisini di scherno di amici e amiche dello stesso gruppo. Nulla di paragonabile al dramma di vedersi chiusa in una chat dai titoli dedicati, con tanto di riferimenti specifici alla propria identità e al proprio domicilio. Ed è questo il punto principale della denuncia spedita dall’avvocato Mariangela Covelli, che assiste la ragazzina, che riguarda lo strumento usato per diffondere quelle foto: parliamo dell’ormai temutissimo Telegram, un sistema di messaggistica rapida, che consente di partecipare a gruppi interessati a foto e video hot senza alcun limite.

Non esistono censure, né è possibile risalire all’identità degli esponenti dei vari gruppi. Un verminaio, insomma. Un non luogo che divora la vita di tantissimi ragazzi, attualmente abitato da ogni genere di depravato, in cui è possibile distruggere la vita delle persone, senza alcun rischio legale. Proviamo a capire come funziona questa piattaforma finita sotto inchiesta a Napoli, delle prime indagini finora svolte: Telegram consente l’impiego di messaggi crittografati nella modalità end to end e, quindi, con la presenza di codici non predefiniti che hanno lo scopo di eliminare la possibilità di controllo delle conversazioni da parte di “terzi”. Tutto ciò avviene grazie a un “admin” centrale anonimo che gestisce la diffusione di un determinato e selezionato materiale e che garantisce l’anonimato di chi invia o riceve le immagini.

Ma quali sono i gruppi che hanno immagazzinato e diffuso (in un crescendo esponenziale) la vita della studentessa napoletana (o delle studentesse, a giudicare dal dilagare del fenomeno)? Parliamo di gruppi dai titoli che inneggiano alla violenza e che vengono indicati nella denuncia nel tentativo - probabilmente velleitario - di far rimuovere quelle stanze virtuali alimentate dall’anonimato. Non è la prima denuncia contro il sistema di messaggistica nato in Russia alcuni anni fa, poi diventato comodo viatico per trasferire da remoto e in zona assolutamente riservata atti segreti, foto sconce, ma anche per trasmettere in modo illegale giornali, rassegne stampa che dovrebbero essere protette dal copyright. Ora il fascicolo è nelle mani del pm La Ragione, forte anche della testimonianza resa dalla parte offesa: «Non immaginavo potesse accadermi una cosa del genere, non immaginavo di trovare la mia vita in quelle chat. So di non aver fatto nulla di male, non meritavo questa gogna». Agli atti anche i nomi degli amici e dei conoscenti dei due studenti, per chiudere il cerchio attorno a chi ha materialmente postato quelle foto su Telegram. 

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