Rfi, appalti ai Casalesi:
vacilla l'inchiesta, liberi i colletti bianchi

Rfi, appalti ai Casalesi: vacilla l'inchiesta, liberi i colletti bianchi
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 25 Maggio 2022, 07:00 - Ultimo agg. 26 Maggio, 17:04
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Clan, imprese e politica, non passa la linea della Procura. Non c'è prova - sembra di capire - di un collegamento forte e di stabili contatti tra il mondo economico che conta (parliamo di appalti pubblici) e il sistema camorristico cittadino. È quanto emerge dall'udienza del Tribunale del Riesame, che ha revocato arresti e misure cautelari firmate a carico di soggetti ritenuti ai vertici del mondo delle imprese pubbliche e private. Una sorta di spallata, quella dei giudici del Riesame, rispetto alle prime conclusioni investigative, che fa leva sul punto centrale: il presunto carattere mafioso dell'inchiesta. O meglio: i presunti contatti tra funzionari pubblici e un superconsulente, ritenuto da decenni testa di ponte del clan dei casalesi. Stando alla decisione del Riesame (Foschini, Maddalena e Di Benedetto), non c'è la prova che gli indagati siano legati al sistema camorristico targato casalesi e rappresentato - secondo l'accusa - da un superconsulente privato, il 68emme Nicola Schiavone. Vacillano le conclusioni sui gravi indizi o sulle esigenze cautelari (non ci sono le motivazioni, quindi non è chiaro il ragionamento fatto dai giudici), per i personaggi principali di questa vicenda.

Ma ecco il dispositivo adottato ieri mattina dai giudici: Nicola Schiavone, consulente nato a Casal di Principe, con casa e studio tra Posillipo e piazza dei Martiri, passa dal carcere ai domiciliari. Difeso dai penalisti Umberto Del Basso de Caro, Giovanni Esposito Fariello e Guido De Maio, lascia il carcere ma resta detenuto per ipotesi di corruzione e di intestazione fittizia (ripetiamo: reati non aggravati dal fine mafioso); revocati i domiciliari per il fratello Vincenzo Schiavone, difeso dagli avvocati Giovanni Esposito Fariello e Stefano Montone.

Vengono revocati gli arresti domiciliari in favore di alcuni funzionari di Rfi, finiti al centro delle indagini: si tratta di Del Vasto (difeso dall'avvocato napoletano Paolo Carrara), di Massimo Iorani, Pierfrancesco Bellotti e Paolo Grassi, che a questo punto possono affrontare il sequel dell'indagini a piede libero. Viene meno la mafiosità dell'inchiesta, nonostante lunedì mattina gli inquirenti si fossero presentati in aula con gli esiti di un'ultima informativa di pg, che puntava a fare chiarezza proprio sui presunti vasi comunicanti che sarebbero esistiti nel corso degli ultimi tre decenni tra il superconsulente e la camorra casertana.

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Si tratta degli esiti di una perquisizione messa a segno negli stessi giorni in cui è stata eseguita la misura cautelare, che fa riferimento al presunto ruolo di due coniugi di Giugliano, che avrebbero gestito flussi di denaro di origine sospetta. Soldi di provenienza illecita - secondo la Procura - in una movimentazione che risale ai primi mesi dell'anno 2000, vale a dire quando la saga criminale di Francesco Sandokan Schiavone era un fatto ormai notorio. Agli atti una sorta di pro memoria contabile, a proposito di beni e soldi gestiti (tra appartamenti, appezzamenti di terreno, soldi cash e un lingotto d'oro), che per gli inquirenti attesterebbero contatti indicibili tra mondi apparentemente diversi. Ma si tratta di documenti esplorati dal Riesame, che non ha avuto dubbi nell'accogliere le richieste dei difensori e di revocare le misure cautelari firmate dal gip napoletano. Questa mattina tocca agli avvocati Andrea Fabozzo e Arturo Frojo discutere la posizione di Giuseppe Russo, direttore dei lavori del lotto 11, per conto della stessa Rfi. Ma cosa accade all'inchiesta napoletana, alla luce del provvedimento del Riesame? Inchiesta condotta dai pm Graziella Arlomede e Antonello Ardituro, possibile che - dopo aver letto le motivazioni del Riesame - la Procura faccia ricorso per Cassazione. Poi la conclusione delle indagini, con una probabile richiesta di processo, a proposito degli ipotizzati legami indicibili tra imprese e contesti sospetti. Per oltre un'ora dinanzi al gip, nel corso dell'interrogatorio di garanzia, Nicola Schiavone ha difeso il suo ruolo, dicendosi vittima del proprio cognome e del luogo natìo («mi chiamo Schiavone e sono di Casal di Principe, ma non sono camorrista», ha spiegato). Agli atti dell'inchiesta anche la testimonianza di Maurizio Gentile, ex ad Rfi, che ha spiegato: «Nicola Schiavone aveva toni affettati, le conversazioni vertevano su questioni generiche e frutto delle sue infondate elucubrazioni. Mi parlò bene di un funzionario, che ho provveduto a spostare ad altro incarico, per questioni di opportunità». 

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