Rfi, politica e cene da vip per la scalata:
«Segnalati dal superconsulente Schiavone»

Rfi, politica e cene da vip per la scalata: «Segnalati dal superconsulente Schiavone»
di Leandro Del Gaudio
Martedì 24 Maggio 2022, 07:00 - Ultimo agg. 25 Maggio, 07:21
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Toni garbati, per nulla nevrotici. Una telefonata di ufficio, ma anche di cortesia, da Roma ad Ancona. O meglio, per essere più chiari, dall'allora direttore generale di Rfi a un dirigente distaccato sulla costa adriatica. Motivo della conversazione? Ricevere Nicola Schiavone, superconsulente aziendale finito agli arresti quindici giorni fa nel corso dell'inchiesta napoletana sui presunti appalti truccati all'ombra della rete ferroviaria. Ma non è l'unica segnalazione dall'alto per garantire a Schiavone ingressi e colloqui negli uffici strategici della Rfi. C'era anche una sorta di potere inverso, a sentire le intercettazioni depositate agli atti di una sorta di inchiesta terremoto: c'era anche chi si rivolgeva a Nicola Schiavone per fare carriera, sempre all'interno dell'azienda di Stato. O chi in questi anni avrebbe subìto una sorta di mobbing, all'interno di Rfi, per non aver assunto una condotta amichevole nei confronti del consulente privato.

Questione di gerarchie e di incroci esistenziali, a leggere la domanda fatta dal gip Giovanna Cervo al principale indagato dell'inchiesta sugli appalti in Rfi, parliamo di Nicola Schiavone 68enne omonimo dei boss casalesi, per una vita superconsulente di aziende che subappaltavano lavori per la messa in sicurezza di tratti di ferrovia italiana. È il gip a fare una domanda diretta: «Da un'intercettazione agli atti emerge che un funzionario di Rfi si rivolgeva a lei per avere progressione in carriera..., scusi ma anche questo lo faceva per gentilezza? Oltre a donare cene, gemelli e altro?».

Domande serrate, da parte del gip e degli inquirenti (i pm Graziella Arlomede e Antonello Ardituro) nei confronti del consulente privato accusato di aver messo in piedi una regìa finalizzata a turbare l'affido di commesse pubbliche, in uno scenario in cui sarebbero state gonfiate le voci di spesa.

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Aula 724, inizia il braccio di ferro tra accusa e difesa, in un'udienza in cui sono state depositate alcune informative di pg, ma anche gli interrogatori di garanzia di alcuni indagati. Tra questi, spicca la versione di Nicola Schiavone. Difeso dai penalisti Umberto Del Basso de Caro, Giovanni Esposito Fariello e Guido De Maio, Nicola Schiavone prova a respingere l'accostamento alla massoneria («non sono massone e non so neppure di cosa si occupa»), ma soprattutto prova a ridimensionare il proprio ruolo all'interno dell'azienda: «Non sono il dominus - spiega - qualcuno si accredita con il mio nome? Forse mi avrà visto in qualche riunione». Ma sentiamo cosa dice un dirigente Rfi di Ancona. È il momento di Giulio Del Vasto, a proposito dei buoni rapporti di Schiavone con i vertici aziendali: «Nel gennaio del 2018, ricevetti una telefonata dell'allora direttore centrale di Roma, che chiedeva di ricevere Schiavone, ovviamente di riceverlo come chiunque altro... come si ricevono tante altre persone per motivi di lavoro... mai - ha aggiunto il funzionario - avrei associato quella persona con il passato che aveva alle spalle». Ma è proprio sulle sue origini e sui suoi legami con i clan casalesi che Nicola Schiavone prova a fare dei distinguo, quando i pm gli chiedono della sua presenza - come ospite - nel 2008 al matrimonio di Carmine Schiavone, in un albergo di lusso in costiera amalfitana: «Perché ci sono andato? Per conto dei genitori ho dovuto partecipare per portare un saluto allo sposo e alla sposa... ma l'ho fatto in assoluta trasparenza, senza alcun condizionamento da parte di qualcuno». Ed è sempre Nicola Schiavone che batte su un punto in particolare: «Ho due grandi problemi: quello di essere nato a Casal di Principe e di chiamarmi Schiavone», a sottolineare la difficoltà di condurre affari al riparo da suggestioni ambientali. Di diverso avviso le prime conclusioni della Procura di Napoli, che ricorda l'interrogatorio di Giuseppina Nappa, moglie di Francesco Sandokan Schiavone, che usa la metafora del lievito madre, a proposito dei soldi che la camorra casalese avrebbe investito circa trent'anni fa, attraverso la figura di imprenditori dal volto pulito. Una vicenda che ora attende gli esiti del Riesame, dopo i ricorsi firmati anche dagli avvocati Andrea Fabozzo, Fabio Fulgeri, Stefano Montone. 

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