«Incidenti, furti e ricatti: è la dura vita dei riders»

«Incidenti, furti e ricatti: è la dura vita dei riders»
di Valerio Iuliano
Lunedì 20 Giugno 2022, 08:09 - Ultimo agg. 12:38
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«Una volta, mentre portavo a termine una consegna, ho visto da lontano due ragazzi che stavano tentando di rubare il mio ciclomotore. Sono poi riuscito ad allontanarli. Questi inconvenienti capitano spesso a noi rider». Enrico Girone, 41 anni, lavora come rider a tempo pieno dal 2018. «Prima lo facevo solo per arrotondare. Era la mia seconda attività».

Qual era la sua prima attività?
«Lavoravo nei mercati rionali con mio padre. Vendevamo scarpe da uomo. La mattina mi recavo al mercato e la sera facevo il rider».

E poi che cosa è cambiato?
«Ho capito che era più conveniente fare il rider. Ho fatto tanti lavori. Tra tutti quelli che ho sperimentato, posso garantire che quella da rider è l'attività migliore. Le piattaforme hanno contribuito ad aiutare tanti ragazzi che prima stavano per strada.

A settembre 2018 ho iniziato con Ubereats, una piattaforma appena arrivata in città».

Qual è il bilancio della sua prima esperienza?
«La piattaforma puntava molto sui bonus per i rider e questo ci consentiva di guadagnare bene. Si sono iscritti in tanti. Poi sono passato a Deliveroo che ci offriva un guadagno garantito giornaliero. Un minimo di 30 euro al giorno, per 7 ore al giorno, a patto di non rifiutare nessuna consegna. Era possibile ottenere compensi sufficienti, a patto di essere bravi e volenterosi».

E poi?
«Successivamente è stato eliminato il minimo garantito, con l'inserimento del free login, un sistema che ci consentiva di entrare e uscire dalle piattaforme a nostro piacimento. Lo scorso anno ho avuto il contratto da Just Eat. Ora usufruiamo del sistema di tutele previsto dal Ccnl, con le ferie, la malattia e tutti gli altri diritti. È un contratto che prevede 30 ore settimanali. Alcuni rider, dopo essere stati contattati, hanno preferito rinunciare».

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Come se lo spiega?
«Alcuni ritengono che, con il contratto part time, le cifre potrebbero essere complessivamente inferiori, rispetto all'attività con partita iva. Si tratta di una scelta. Ci sono lavoratori che hanno rinunciato. Io ho preferito il contratto, perché prevede il riconoscimento dei nostri diritti. Abbiamo la busta paga e ci coprono la malattia, gli infortuni e così via. Tanti altri rider hanno scelto, come me, la strada della contrattualizzazione».

In quale zona lavora?
«Io vivo al centro di Napoli. In questa zona ci sono due starting point. Il mio è quello di via del Chiostro. L'altro è a via Arenaccia. Il regolamento prevede che ognuno debba partire dallo starting point che gli è stato assegnato. Ma le consegne possono svolgersi in tutta la città, dal Vomero a Chiaia, fino a Fuorigrotta e a Pianura».

È possibile rifiutare una consegna?
«Quando arriva un ordine che supera i 10 km, tra il punto di ritiro e la sede della consegna, possiamo chiedere la riassegnazione. Ed anche quando la consegna riguarda una Ztl è possibile ottenere la riassegnazione. Attualmente sono anche delegato sindacale della Cgil in azienda. Rappresento alcuni iscritti insieme con un amico».

A Napoli gli incidenti sono frequenti. Per i suoi colleghi non contrattualizzati ci sono poche tutele. Si sente più fortunato?
«I casi sono tanti. Qualche tempo fa ho saputo di un padre di famiglia che si era infortunato cadendo dal motorino. È riuscito a dimostrare che l'incidente era avvenuto durante una consegna e la compagnia lo ha risarcito. Sa cosa mi fa arrabbiare?».

Dica pure.
«Ci sono alcuni rider che corrono moltissimo per effettuare le consegne. Io sostengo che non valga la pena. Quelli che lo fanno, dimostrano di essere ignoranti».

C'è un aspetto che le piace particolarmente del suo lavoro?
«Da rider, sono orgoglioso soprattutto del fatto che siamo stati una delle poche categorie a lavorare anche durante la pandemia. E poi sono contento di veder lavorare ragazzi che prima erano in difficoltà».

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