Il Vesuvio come una pattumiera: tonnellate di rifiuti abbandonati, vergogna senza fine

Il Vesuvio come una pattumiera: tonnellate di rifiuti abbandonati, vergogna senza fine
di Raffaele Perrotta
Martedì 28 Luglio 2020, 09:35
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Il Vesuvio tra monnezza e agricoltura eroica, tra rifiuti che inquinano e la natura che vince nonostante tutto, tra discariche disseminate agli angoli delle colate laviche e pomodorini che crescono senza acqua sul terreno nero. Nel dualismo tra bene e male sulle pendici del vulcano, tra i più famosi e sicuramente il più raccontato e disegnato da artisti al mondo, ci sono i killer dell'ambiente e dell'uomo nell'eterna contrapposizione e lotta con i resilienti, coloro che ostinatamente vogliono difendere la terra dove sono nati, quelli che non vogliono arrendersi a criminali spregiudicati, a negligenza politica e lentezza burocratica. Un viaggio tra le due facce della montagna napoletana che nella tragedia dell'ecatombe del 79 dopo Cristo ha regalato al mondo il più esteso esempio di città e civiltà ancora intatto, ammirato fino a prima della pandemia da oltre tre milioni di turisti provenienti ogni anno da ogni angolo e paese del pianeta: Pompei. Un tour che tra strade dissestate e sconnesse, sentieri rurali e natura selvaggia, ripropone l'animo umano che disprezza e quello che ama. A fare da guida Vincenzo Marasco, militare in servizio a Roma, appassionato di storia locale, che, insieme ai volontari di una ventina di associazioni, è una delle sentinelle civiche che provano a proteggere il territorio, insieme ai carabinieri forestali, dagli sversamenti e dagli incendi.

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Alle spalle del Comune di Boscotrecase, salendo per via Rio, al bivio che da via Fruscio porta alle terre del Lacryma Christi, la barriera ormai non è più funzionante, praticamente sempre aperta. Di fronte all'ingresso boschese alla pineta, distrutta in parte dagli incendi del 2017, è posta una delle dieci telecamere con il sistema di rilevazione della targa. Ma dati e numeri dei passaggi attraverso quella strada hanno portato a pochi fermi, rispetto al numero di discariche che sono seminate tra le piante. Continuando ad andare su per qualche centinaio di metri ci si imbatte nello spettacolo naturale della colata lavica del 1906. Pietre nere che scendono dal Gran Cono e che, oltre un secolo fa, sono arrivate fino alle porte di Torre Annunziata. Ma basta voltare lo sguardo di poco per accorgersi dello scempio: puntando gli occhi verso il mare ancora si distingue la piattaforma per il tiro a piattello, di qui il nome della zona, attiva nei primi decenni del 900. È guardando la strada, però, che si notano le prime discariche. Cumuli di rifiuti di vario genere, a partire da carcasse di volatili che rendono l'aria irrespirabile. In questo posto, appena pochi giorni fa, i carabinieri, con l'aiuto dell'elicottero dell'Arma che ha mappato la zona, hanno sequestrato alcuni sversamenti segnalati da tempo da quelle sentinelle civiche. Ci si imbatte in qualsiasi tipo di scarto: rifiuti domestici e buste nere con libri, portati lì dai cosiddetti svuota-cantine, che liberano gli spazi privati in cambio di pochi euro e che si disfano poi di beni irrecuperabili su quelle strade che portano al Vesuvio. Ma il problema maggiore sono i materiali di risulta e i mobili: tonnellate, disseminati ovunque. Materassi buttati tra i pini, qualcuno mezzo bruciato. Ancora qualche carcassa di vecchie auto e centinaia di metri quadrati di guaina sversata una notte del novembre 2018 e rimasta sui sentieri. Sparsi un po' ovunque su pietre e rifiuti, si riescono a notare gli adesivi con la scritta «vi teniamo d'occhio», incollati dalle associazioni ambientaliste e che per diverso tempo sono realmente serviti come dissuasori. «I malintenzionati, temendo di essere realmente beccati, qualche volta è capitato, hanno girato il loro mezzo e sono andati via», racconta Vincenzo Marasco. Ma da soli quei simboli non bastano.



«Abbiamo installato 42 telecamere nell'area protetta, monitorate dai carabinieri forestali, ai quali abbiamo dato anche dei droni altamente tecnologici», dice il presidente dell'Ente parco del Vesuvio Agostino Casillo, che sulla questione rifiuti spiega: «Devono operare i sindaci. Quelle zone sono fuori dall'area protetta, nei territori comunali. La pulizia, la gestione e la rimozione di quei cumuli è un compito loro». Plauso alle associazioni, ma, «occorre denunciare. Non basta spiega Agostino Casillo mettere le foto e i post sui social».
 


Eppure, nonostante ci sia chi fa di tutto per rendere il vulcano inospitale, c'è ancora chi, come Francesco Manzo, un agricoltore eroe, resiste pur tra mille difficoltà e continua a credere nel proprio lavoro e nel progetto di un orto vivibile sia di giorno che di notte. «L'idea è quella di posizionare degli igloo di legno, leggeri e facilmente removibili, coperti di un materiale trasparente, così da potersi sdraiare all'interno ed ammirare le stelle nelle notti d'estate.
Come quelle che si vedono ai fiordi per l'aurora boreale, qui sul Vesuvio permetteranno di stare distesi vicino alla roccia lavica, voltare lo sguardo e vedere la bellezza ovunque racconta Francesco alle spalle il Gran Cono, davanti il mare del golfo e sopra le stelle». Tra i tanti terreni agricoli abbandonati, i cui casolari deserti sono la testimonianza dell'intensa attività agricola di un tempo, ne ha preso in affitto due, da quasi un ettaro ciascuno. Diverse le coltivazioni che ha impiantato, dalle zucche ai fagioli di Letino, all'aglio che cresce piccolo ma molto profumato. Poi le diverse varietà di pomodoro: oltre a quelli del piennolo e i datterini gialli, Francesco sta coltivando anche una varietà di pomodorini delle Galapagos dalle caratteristiche striature e più resistenti ai microbatteri. «L'intento - dice - è quello di innestare le specie per fare in modo di non usare pesticidi, l'agricoltura è diversificazione e sperimentazione».

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