La prima volta che... Rita Manzo: «Quella magica Grundig e il sogno di fare radio»

La prima volta che... Rita Manzo: «Quella magica Grundig e il sogno di fare radio»
di Maria Chiara Aulisio
Sabato 12 Ottobre 2019, 09:13 - Ultimo agg. 22:17
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Metà anni Settanta. La piccola Rita non aveva più di otto anni, frequentava la scuola elementare, era brava in italiano ma se la cavava molto bene anche in matematica, con una particolare propensione per le tabelline - che recitava a memoria ogni volta che ne aveva la possibilità, meglio se alla presenza di un po' di pubblico. Brava, complimenti! - le diceva mamma Assunta -. Da grande farai la maestra. La maestra? Neanche per idea - rispondeva secca lei -, io da grande voglio parlare alla radio. Che cosa intendesse allora Rita Manzo per parlare alla radio non era ancora ben chiaro. Anche se la sua irresistibile passione per quella Grundig a valvole, poggiata sulla mensola della cucina era invece indiscutibile.

 
Bizzarra una bimba che non sogna di fare la ballerina ma la speaker.
«Vera passione. L'ho capito quando per la prima volta ho ascoltato la Hit Parade di Lelio Luttazzi sulle frequenze di Radio 2. Quell'uomo diventò il mio mito. Andava in onda il venerdì, e chi se lo dimentica».
Appuntamento fisso?
«La trasmettevano all'ora di pranzo. La mia scuola distava da casa circa cinquecento metri, che io percorrevo a velocità record. Arrivata, suonavo il campanello come una pazza, lanciavo la cartella dove capitava e mi fiondavo in cucina, con la speranza che il programma non fosse ancora iniziato. Quando sentivo la voce di Luttazzi mi incantavo, mamma mi guardava come fossi un marziano».
E suo padre?
«Mi regalò un mangiacassette portatile. Ve lo ricordate? Pezzi di antiquariato, ormai. Era arancione, lo portavo sempre con me».
Ascoltava la musica?
«Registravo le mie trasmissioni radiofoniche. Imitavo Luttazzi, naturalmente; ma, anziché la classifica dei dischi più venduti, facevo quella dei dischi che piacevano a me. E poi parlavo, parlavo, parlavo: dicevo cose buffe, surreali, raccontavo dei miei sogni di bambina, della scuola, della famiglia...».
Se le avessero detto che sarebbe diventata una delle più popolari conduttrici del pomeriggio di Radio KissKiss, ci avrebbe creduto?
«Forse sì: la mia motivazione era davvero forte, sapevo che mi avrebbe portata da qualche parte. A 16 anni, bussai alla porta di una emittente locale di Portici, la leggendaria - per me, naturalmente - Radio Break Campania, e chiesi di fare un provino».
Come andò?
«Mi affidarono la conduzione di un programma della domenica mattina. Si trattava - indovinate un po' - della classifica dei brani più ascoltati della settimana, l'hit parade che tanto amavo del mio mitico Luttazzi».
Il debutto al microfono. Lo ricorda?
«Lasciamo perdere».
Perché?
«Se ci penso, rido ancora. Erano gli anni Ottanta. Che ve lo dico a fare, nelle radio private non esistevano fonico o regista, faceva tutto lo speaker; nella fattispecie, io. Per non sbagliare, bisognava coordinare alla perfezione pensiero, parola e azione, per interrompersi e avviare cursore e piatti al momento giusto».
Come andò?
«Avevo il cuore a mille e le mani mi tremavano, ma riuscii a fare un discreto talk, annunciando senza balbettare il brano di Steve Winwood, Higher love. Quando spensi il microfono, mi alzai di scatto per esultare: urlai Evvai, alzando le braccia al cielo, in segno di vittoria. Feci volare via la puntina del giradischi vanificando in un attimo il mio esordio perfetto».
Momenti indimenticabili.
«Ne conservo tanti. Ma uno su tutti».
Quale?
«Capodanno 2016. La grande festa in piazza del Plebiscito, e l'occasione per festeggiare anche i quarant'anni di Radio KissKiss. Quella notte è stata il coronamento di una carriera ricca di soddisfazioni, vissuta in una emittente nata e cresciuta a Napoli, e diventata una delle più ascoltate del paese». 
La radio nel cuore, insomma.
«Mi torna in mente la strofa di una bella canzone di Antonello Venditti: Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano.  La radio l'ho tradita, l'ho lasciata, le ho chiesto pause di riflessione, ma alla fine da lei sono sempre tornata».
Cos'altro ha fatto?
«Ho condotto programmi televisivi su Canale 8 e Odeon tv, dove mi sono divertita tanto. Ho prestato la voce a spot pubblicitari, documentari, audiolibri, ma la radio è un'altra cosa: sei tu al cento per cento, senza maschera e senza filtri».
Con una bella voce, però.
«Vero. Anche se non basta a garantire il successo di un programma. Chi ti ascolta deve riconoscere la tua personalità, attraverso il microfono bisogna trasmettere suggestioni, sensazioni, stati d'animo, con la complicità della musica».
A proposito di musica: il primo incontro con un cantante?
«Francesco De Gregori».
Debutto in grande stile.
«Dovevo intervistarlo, in radio mi dissero di fare attenzione: De Gregori parla poco e controvoglia. Se poi è di cattivo umore, sei messa male».
Incoraggianti, i colleghi.
«Fu un'intervista pazzesca, si creò subito un bel feeling. Raccontò episodi inediti della sua vita privata e alla fine mi dedicò anche alcune strofe di una canzone. Se ci penso ancora mi vengono i brividi».
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