Rogo negli uffici della Federico II: adesso spunta la pista anarchica

Rogo negli uffici della Federico II: adesso spunta la pista anarchica
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 19 Marzo 2018, 08:53 - Ultimo agg. 08:58
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Al momento è la pista numero uno e non potrebbe essere altrimenti, in mancanza di una rivendicazione o di qualcosa che assomigli anche solo a una segnalazione. Al momento, ci sono loro sotto i riflettori, loro che sembrano - per scelta e convinzione ideologica -, completamente avulsi dalla realtà: parliamo degli anarchici, di quelli che si riconoscono sotto la lettera A in mezzo a un cerchio, target principale delle indagini della Digos, dopo il rogo della scorsa settimana. Mercoledì scorso, fiamme al secondo piano della Federico II, lì nel grande edificio di Corso Umberto, nel cuore degli uffici amministrativi della più grande università del sud Italia. 
Fiamme dolose, qual è la matrice? Chi aveva interesse ad attirare l’attenzione sul centro amministrativo dell’ateneo? Massimo riserbo investigativo, al momento la pista dell’eversione è quella più battuta. Indaga il pool antiterrorismo della Procura di Napoli, sotto il coordinamento dell’aggiunto Rosa Volpe (come raccontato da Repubblica venerdì scorso), c’è una traccia abbastanza chiara sul taccuino degli inquirenti. Una traccia che non batte piste esterne al mondo accademico, che non va - almeno sulle prime - alla ricerca di responsabilità lontane dall’aria che si respira sotto chiostri e porticati d’epoca.  
Verifiche inevitabili dunque nel mondo che si ritrova in un paio di aule che fungono da laboratorio culturale e punto di incontro. Non sono tutti studenti iscritti alla Federico II, gli anarchici napoletani che bazzicano nel mondo universitario, ma il punto di partenza delle indagini resta quella A al centro di un grande cerchio bianco e nero. Difficile, velleitario, stabilire un movente possibile, si cerca di interpretare una certa fibrillazione che attraversa - più o meno in modo ciclico - la realtà studentesca napoletana. Decisiva l’analisi del lavoro che viene condotto all’interno degli uffici lambiti dalle fiamme di mercoledì scorso. Siamo all’interno del «coinor» (il centro di ateneo per la comunicazione e innovazione organizzativa), il luogo dove vengono ratificate in termini di contabilità e di amministrazione le decisioni «politiche» dell’università di Napoli. Progetti, adesioni, finanziamenti, borse di studio, sussidi, ma anche griglie per i limiti di censo, tutto passa attraverso queste stanze. Difficile pensare che un attentato doloso possa essere ricondotto a controversie tra uno o più lavoratori rispetto alle ditte che si occupano di sorveglianza e di pulizie, perché le fiamme sono state appiccate proprio lì, a due passi dalla stanza dei bottoni. Potevano scegliere altri mille posti, altrettanto simbolici, ma hanno puntato al secondo piano, conoscendo orari e dinamiche interne alle stanze che contano. 
Inchiesta affidata al capo della Digos, il primo dirigente Francesco Licheri, bocche cucite e indagini a trecentosessanta gradi. Sulla carta nessuna pista viene esclusa, nulla viene lasciato al caso. In questi giorni sono stati ascoltati esponenti dell’istituzione universitaria, nel tentativo di acquisire informazioni sul dietro le quinte dell’Ateneo. Attenzione rivolta, almeno per quanto riguarda gli ultimi mesi di lavoro, sulle griglie economiche, sulla necessità di adeguare il costo delle iscrizioni di anno in anno ai livelli di reddito delle famiglie degli studenti universitari. Argomento decisamente sensibile, anche alla luce del particolare momento di transizione che sta attraversando una città come Napoli, all’interno del più ampio contesto nazionale. Sin dalle prime battute, il rettore Manfredi è stato chiaro: «Dubito che siano stati i miei studenti», ha chiarito sin da subito alla stampa, nella piena convinzione da parte dei vertici dell’Università della mancanza di detonatori interni in grado di culminare in un gesto di protesta così eclatante e pericoloso. Una versione che non ha impedito agli inquirenti della Procura di Napoli di sposare la pista dell’eversione interna: e di puntare i riflettori su quella grande A con un cerchio attorno che campeggia all’esterno di aule «okkupate» e dei vari «laboratori» di antagonismo sparsi nella nostra area metropolitana. 
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