Rosetta, Lucia e le altre: se madri e mogli devote diventano boss di morte

Rosetta, Lucia e le altre: se madri e mogli devote diventano boss di morte
di Gigi Di Fiore
Giovedì 30 Dicembre 2021, 23:00 - Ultimo agg. 14 Ottobre, 17:33
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L’amore per i loro uomini, mariti, compagni, figli, fratelli. Le sintonie culturali, a difesa del potere criminale e dei guadagni del clan. Sono le donne di camorra, le «mafia women» di cui scrisse anni fa anche la giornalista inglese Clare Longrigg in un suo noto libro. Assunta Maresca, Pupetta, morta due giorni fa a 86 anni per un male incurabile, denunciando negli ultimi tempi i falsi idoli del crimine organizzato, ne è il simbolo, protagonista di un’era della camorra infiltrata nei guadagni dei mercati ortofrutticoli. Il suo delitto, eseguito per vendicare la morte del marito sposato da poco, fu episodio simbolico, fusione di crimine e amore. Ma le donne di camorra, devote e in sintonia di cultura criminale ai loro uomini, non sono poche nella storia delle mafie.

«Madre esemplare - vedova Giuliano» diceva il manifesto a lutto che tappezzava i vicoli di Forcella il 30 marzo 2011. Era il funerale di Amalia Stolder, l’ultima celebrazione funebre barocca nella storia dei clan della camorra napoletana. Un carro nero con sei cavalli trasportava la bara, saracinesche dei negozi abbassati, un enorme corteo di persone da via Forcella 26, dove abitava la Stolder morta a 51 anni per un male incurabile, fino alla chiesa dell’Annunziata.

Donna di camorra, in una saga familiare intrecciata tra i clan Stolder e Giuliano, che più di altri per oltre 40 anni sono stati protagonisti di storie di sangue, violenza, crimini, passioni violente. Amalia era intrisa di quella cultura e aveva sofferto il pentimento del fratello Salvatore, diventato un «infame» per aver denunciato anche la famiglia del cognato. E quando, alla fine degli anni ‘90 del secolo scorso, a turno si pentirono anche i fratelli Giuliano, fu proprio Amalia a dissuadere il marito Carmine a fare marcia indietro. Fu l’unico, tra i fratelli Giuliano, a non collaborare con la giustizia. Carmine, che aveve ospitato in casa Maradona e ne vantava l’amicizia. Carmine morto per un tumore, pochi anni prima della moglie. E quella Forcella chiusa, in segno di rispetto per «donna Amalia», fu dieci anni fa il simbolo di una cultura criminale mai spenta in uno dei quartieri-Stato della camorra.
Era cognata di Amalia Stolder anche Erminia Celeste Giuliano, che aveva tentato di prendere in mano le redini del clan dopo i pentimenti dei suoi fratelli. Ma non aveva la stoffa né il carisma del capoclan. Era anche chiacchierata per una storia d’amore adulterino con il boss Patrizio Bosti, numero due del clan Contini arrestato in Spagna, sposato con una delle sorelle Aieta.

Finì in carcere, condannata. Da giugno, sconta la pena agli arresti domiciliari a Formia per «gravi motivi di salute». Era proprio Erminia Giuliano, la donna bionda che brinda nelle famose foto con Maradona.

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Dedita completamente al fratello, «il camorrista» per antonomasia nella storia della camorra del dopoguerra, Rosetta Cutolo ne dirigeva gli affari fuori dal carcere. Con Raffaele Cutolo da sempre detenuto, tranne due parentesi da latitante, Rosetta fu destinataria di messaggi, indicazioni, riunioni anche con i «santisti», i due vice di Cutolo: Alfonso Rosanova e Vincenzo Casillo. Latitante, poi arrestata, Rosetta Cutolo scontò per buona condotta sei dei dieci anni della sua condanna. A 84 anni, dopo la morte del fratello, Rosetta Cutolo vive ancora a Ottaviano, cucendo centrini e passando molto tempo con la nipotina nata con l’inseminazione. La figlia di Raffaele Cutolo.

Quando la preminenza negli scenari criminali di Napoli città si spostò dal centro alle periferie degradate, presero sopravvento altre figure femminili. Come Teresa De Luca Bossa, moglie di Umberto e madre di Antonio, due capi del clan nella zona di Ponticelli. Decisa, ispiratrice delle decisioni di un clan che a Ponticelli ha dovuto sostenere più scontri con altri gruppi, Teresa De Luca Bossa è stata la prima donna in carcere con il 41-bis. Da oriente a nord. Maria Licciardi, detta ‘a piccerella, ha ereditato uno dei primi clan attivi nella zona di Secondigliano. Piccolina, astuta, è finita in carcere l’estate scorsa, presa a Roma dopo una lunga latitanza. Aveva preso il posto dei fratelli. Il primo, Gennaro detto ‘a scigna, era morto in carcere per setticemia nel 1994. Era stato il boss del quartiere, dopo Aniello La Monica e prima dell’avvento dei Di Lauro.

Mogli devote, all’ombra del potere dei loro mariti che hanno chiuso un patto criminale, che va avanti da oltre vent’anni, le sorelle Aieta non sono mai venute meno al loro ruolo di donne del boss. Rita, Maria e Anna Aieta sono rispettivamente le mogli di Patrizio Bosti, Edoardo Contini e Francesco Mallardo. Nomi legati alla famosa «alleanza di Secondigliano». La «vedova nera della camorra» fu soprannominata Anna Mazza, anima del clan Moccia morta nel 2017, che fu sempre sospettata di aver armato la mano del figlio non imputabile per vendicare nel cortile di Castelcapuano, allora sede del tribunale napoletano, il marito ucciso. Uno degli episodi di una sanguonosa faida tra i clan di Afragola. Costò caro, ad Assunta Sarno, il legame con Peppe Misso capoclan della Sanità. I killer dei clan di Secondigliano aspettarono lei e chi l’accompagnava all’uscita dell’autostrada di Napoli, di ritorno da Firenze dove avevano assistito alla lettura delle sentenza per la strage del treno 904. dove era imputato Misso. Fu un segnale pesante per il capoclan della Sanità. La moglia, Assunta Sarno, fu finita dai killer con un colpo di pistola nella bocca. Uno sfregio violento. Amore e morte delle donne di camorra.

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