Via Duomo un anno dopo, l'appello di Rossella: «Ribellatevi al degrado, fatelo per mio padre»

Via Duomo un anno dopo, l'appello di Rossella: «Ribellatevi al degrado, fatelo per mio padre»
di Paolo Barbuto
Mercoledì 10 Giugno 2020, 09:30 - Ultimo agg. 13:03
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Ha la voce flebile, inizia a parlare quasi sottovoce, poi è un crescendo di emozioni fino ad arrivare all'appello finale: «Napoletani ribellatevi al degrado, fatelo per mio padre che è morto per un colpo che gli ha inferto questa città. Fate partire una rivolta dal basso che coinvolga anche le istituzioni, solo tutti insieme possiamo cancellare i pericoli e le brutture della nostra meravigliosa città». Rossella è la figlia di Rosario Padolino, il commerciante morto esattamente un anno fa a via Duomo, colpito alla testa da un pezzo di cornicione crollato da un palazzo. Adesso lei vive a Milano ma ha visto le fotografie del reportage sul Mattino di ieri e quei palazzi ancora malmessi a via Duomo hanno reso più intenso il suo strazio.
 

 

Un anno senza il suo papà, il dolore non si allontana.
«No, non si allontana. Certo, la vita va avanti, ma senza di lui ogni cosa ha un sapore differente».

Subito dopo la morte di suo padre, lei continuò a dichiarare il suo amore per Napoli.
«E insisto a farlo anche adesso, Napoli è meravigliosa: questo me l'ha insegnato mio padre e non lo dimentico. Perciò vederla immersa nel degrado fa ancora più male».

Ha visto via Duomo? I palazzi avvolti da reti di protezione sono ancora tantissimi.
«Ho visto qualche fotografia. Non so dire qual è il mio sentimento di fronte a quella situazione. Non sono banalmente arrabbiata, sicuramente sono indignata, delusa».

Anche il cornicione che ha ucciso Rosario Padolino era avvolto da una rete che, però, non ne sostenne il peso.
«Io non ho le competenze per giudicare se una rete di protezione è utile o meno. Però ho una devastante esperienza personale che mi insegna che può diventare un pericolo. Però non mi faccia dire che tutti i palazzi avvolti dalle reti sono pericolosi, io non sono una che parla quando non sa le cose nel dettaglio».

Perfino la chiesa di San Giorgio Maggiore è malmessa, pure il museo Filangieri ha stucchi in bilico.
«Significa che il degrado non ha confini e non risponde al censo: è un soffio letale che avvolge ogni cosa in questa città. Però bisogna fare qualcosa per cancellarlo, per combatterlo».

Cos'è un messaggio alle istituzioni assenti che non controllano?
«Io non credo che le colpe stiano tutte da una parte e penso: ma i miei concittadini non hanno occhi per guardare? Non si rendono conto della situazione di degrado e pericolo nella quale sono immersi?».

Se anche avessero occhi per guardare cosa potrebbero fare?
«Ribellarsi, chiedere con forza che le cose cambino, convincere le istituzioni a intervenire. Attenzione, non ho detto costringere perché io credo che la rivolta per cambiare la città debba essere dolce, coinvolgente, non aggressiva né prepotente».

Una rivolta va organizzata, chi può farlo partendo da via Duomo?
«Beh, se ci fosse stato il mio grande papà, lui sarebbe stato il primo a mettere assieme le forze per coinvolgere tutti e chiedere un cambiamento. L'ha fatto da sempre, ricordo decine di battaglie per via Duomo, per renderla migliore, per sottrarla alle difficoltà e ai problemi».

Però, purtroppo, Rosario Padolino non c'è più. Chi ha preso il suo ruolo per la tutela di via Duomo?
«Io non saprei, sinceramente non mi sembra che ci sia qualcuno pronto a metterci la faccia e la passione come faceva mio padre. Però potrei sbagliarmi e non voglio che qualcuno se ne abbia a male, dico solo che io non ne ho conoscenza».

Nel giorno dell'anniversario della morte di suo padre, tutta via Duomo si è stretta alla sua famiglia nel ricordarlo.
«Ringrazio tutti, e lo so che sono in tanti. E proprio a loro chiedo di partecipare a questa insurrezione dolce per pretendere che il degrado venga cancellato, da via Duomo e da tutta la città che è in uno stato analogo».

E se la mobilitazione non ci sarà?
«Io vivo a Milano da un po', ma sto pensando seriamente di tornare a Napoli per offrire il mio contributo alla città. Credo che sia giusto mettersi in gioco quando si crede veramente in qualcosa».

Cosa farà, organizzerà un comitato?
«No, non so ancora cosa farò. Però mio padre mi ha insegnato a lottare per le cose in cui credo e quindi ritengo che sia necessario provare a fare qualcosa, a mettermi in gioco per convincere i miei concittadini che le cose possono cambiare».

Mica è un messaggio politico il suo?
«No, guardi, non cado in questi tranelli. Io non sto parlando dell'amministrazione della città, non mi attribuisca cose che non ho detto. Il mio discorso è più ampio, riguarda la necessità di partecipare alla costruzione del bello. Perché fermarsi a chiedere, a pretendere, è facile: mettersi in gioco è più complicato ma bisogna provarci».

È stato difficile affrontare il giorno del primo anniversario della morte di papà?
«Che domanda...Certo che è stata dura.
Qui a Milano io e mia sorella abbiamo fatto dire una messa, poi nel pomeriggio abbiamo chiesto a un amico di accendere il telefono durante la cerimonia al Duomo di Napoli e l'abbiamo sentita così, ma siamo riuscite a percepire l'amore che tante persone ancora provano per il mio papà». 

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