Salvator Mundi, il boss e il professore gli uomini chiave del furto del secolo

Salvator Mundi, il boss e il professore gli uomini chiave del furto del secolo
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 20 Gennaio 2021, 10:02 - Ultimo agg. 10:25
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Un boss delle rapine, un esperto di arte (una sorta di professore) e una talpa interna alla basilica di San Domenico Maggiore. Poi: un destinatario finale, il target, quello disposto a piazzare sul tavolo milioni di euro per acquisire quel dipinto di scuola leonardesca. Non una vicenda di poco conto, ma una trama con tanti protagonisti, per il momento rimasti nell'ombra. È questo il quadro che emerge all'indomani del ritrovamento del Salvator mundi, il dipinto del XV secolo, trafugato dal museo della basilica di San Domenico Maggiore e trovato - grazie a un blitz mirato - in un anonimo appartamento di Ponticelli, in strada provinciale delle Brecce.  

Ma restiamo alla cronaca delle ultime ore. È stato il gip Federica De Bellis a disporre gli arresti domiciliari a carico di Silvio Vitagliano, indicato come «custode» che - su commissione - ha tenuto nascosto il dipinto in un vano della sua abitazione della periferia orientale.

Ieri, il gip non ha convalidato il fermo per l'accusa di armi (una carabina trovata in casa di Vitagliano), ma sono stati disposti comunque gli arresti domiciliari per il presunto custode.

Difeso dai penalisti Andrea Fabozzo e Pasquale Di Marzio, Vitagliano ha provato e negare un ruolo in questa sorta di intrigo internazionale. Anzi. È come se avesse recitato una sorta di canovaccio all'insegna del basso profilo: «Ho comprato quel dipinto perché pensavo fosse una immagine del Volto santo. Non immaginavo potesse valere il prezzo che mi è stato detto. L'ho pagato 100 euro, me l'ha venduto una persona che frequenta alcuni mercatini. L'ho conservato in buone condizioni in un vano della mia abitazione, perché avevo intenzione di fare dei lavori in casa e non volevo danneggiarlo. Lo avrei appeso alle pareti di casa, ne avevo parlato con mia moglie, che mi ha anche detto che non le piaceva più di tanto». 

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Una ricostruzione che il gip De Bellis indica come «inverosimile», visto il valore assegnato a quel dipinto. Parliamo di un lavoro di Girolamo Alibrandi, uno dei principali esponenti della scuola leonardesca, per il quale c'è chi è disposto - in un circuito internazionale - a pagare anche centinaia di milioni di euro. Ed è questo il punto centrale delle indagini. Custode a parte, ci sono almeno due nomi nel mirino degli inquirenti, nel corso delle indagini coordinate dal pool guidato dal procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli. Si lavora su «un personaggio di grosso calibro», che avrebbe organizzato e commissionato il furto dell'opera poi finita a Vitagliano; ma anche su un insospettabile: una persona che conosce il valore artistico delle opere più pregiate, la loro collazione a Napoli (ma anche in altri centri del sud Italia) e i prezzi di un mercato internazionale tutto da ricostruire. E non è tutto. Si batte anche la pista di una talpa interna alla Basilica di San Domenico Maggiore, dal momento che non sono stati riscontrati segni di effrazione all'ingresso del museo interno al complesso monumentale. Decisivo il lavoro investigativo condotto dalla mobile del primo dirigente Alfredo Fabbrocini, del dirigente Luca Izzo e del sostituto commissario Raffaele Giardiello, che stanno passando al setaccio i circuiti della ricettazione di opere d'arte, ma anche il mondo delle gang di rapinatori. Cellule di professionisti dei reati predatori, quasi sempre scollegati rispetto al contesto camorristico, che puntano a banche e monumenti. Poi c'è il filone culturale delle indagini. C'è infatti la convinzione secondo la quale, l'intera operazione del furto del Salvator mundi sia stata resa possibile dalla consulenza di un esperto d'arte. Un uomo di cultura che sapeva dove colpire, cosa prelevare e quanto chiedere. Ma a chi era destinato quel dipinto? Doveva volare a Dubai, probabilmente per arredare la collezione personale di emiri, petrolieri o uomini di affari.

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