Vigneto confiscato e costi di gestione alti: la resa dei fratelli del carabiniere ucciso

Vigneto confiscato e costi di gestione alti: la resa dei fratelli del carabiniere ucciso
di Ferdinando Bocchetti
Venerdì 21 Gennaio 2022, 07:03 - Ultimo agg. 15:29
4 Minuti di Lettura

Si sono arresi. Hanno gettato la spugna e restituito al Comune le chiavi del bene confiscato alla camorra che gestivano da alcuni anni. Enrico e Arturo Nuvoletta, fratelli del defunto carabiniere Salvatore, caduto in un agguato della camorra nel luglio del 1982, hanno maturato la loro decisione (irrevocabile) nel corso degli ultimi tempi. Mesi segnati pesantemente dalla vicissitudini legate alla pandemia.

In via Marano-Quarto, dall'estate del 2018, in due distinti terreni sottratti alla famiglia Simeoli (palazzinari legati al clan Polverino) avevano allestito una fattoria didattica e curato un vigneto per la produzione di Falanghina dei Campi flegrei. Un lavoro avviato, con passione e dedizione, con la cooperativa che porta il nome (Nuvoletta per Salvatore Cooperativa Sociale) del militare dell'Arma medaglia d'oro al valor civile. «Sono stanco e anziano - spiega Enrico, 69 anni e una vita trascorsa nell'Arma -.

Presto mi trasferirò in provincia di Venezia, dove già da qualche tempo risiedono i miei due figli. Hanno optato per altre strade e altre città, alle luce delle difficoltà finanziarie incontrate, anche mio nipote Manuel e mio fratello Arturo, quest'ultimo poliziotto in pensione. Con entrambi ho condiviso buona parte del percorso, che ci ha regalato gioie ma anche delusioni. Troppa fatica e troppe spese da sostenere - sottolinea il carabiniere in pensione - Curare un vigneto e gestire una fattoria didattica, che necessitava di lavori manutenzione, non è roba da poco: noi c'abbiamo provato, ma i costi di gestione sono elevati a fronte, tra l'altro, di ricavi a dir poco irrisori. Ci siamo dovuti sobbarcare, come se non bastasse, anche le spese per l'allaccio alla condotta idrica. Poi è arrivato il Covid ed è stata la mazzata finale». Un'esperienza che si è chiusa nei giorni scorsi: «Abbiamo ritenuto - aggiunge ancora Enrico - fosse giusto restituire le chiavi al Comune di Marano e di dare ad altre persone la possibilità di mettersi alla prova».

Un progetto ambizioso, quello presentato dai Nuvoletta nell'estate di quattro anni fa. L'idea era quella di produrre un vino autoctono, una Falanghina doc dedicata ad Attilio Romanò, anch'egli - come il carabiniere Salvatore - vittima innocente della criminalità organizzata. La fattoria, invece, ospitava circa 150 animali da cortile. La struttura sorge in uno dei pochi punti della città non devastato dall'urbanizzazione selvaggia e accanto a tanti altri beni confiscati - e mai riutilizzati per i fini sociali previsti dalla legge Rognoni-La Torre - alle potenti organizzazioni malavitose di Marano.

Nel giro di pochi metri, oltre alla fattoria e al vigneto fino a qualche giorno fa gestito dai fratelli Nuvoletta, ci si imbatte nelle mega ville confiscate ad Antonio, Luigi e Benedetto Simeoli, fondatori e amministratori di società e cooperative edilizie, tutti condannati (in via definitiva) per associazione mafiosa con il clan Polverino. Un'altra villa presente in zona, appartenuta al rampollo di un altro ramo della famiglia Simeoli, fu affidata circa dieci anni fa a un'associazione del territorio, «Aggregarci», ma in tanti anni nessuna attività a carattere sociale è stata mai proposta in quegli spazi. 

La notizia dell'addio di Enrico e Arturo Nuvoletta ha colto di sorpresa gli amministratori del Comune di Marano, oggi retto da una commissione straordinaria insediatasi dopo lo scioglimento (il quarto della sua travagliata storia) per infiltrazioni camorristiche. I commissari si sarebbero interessati alla vicenda e avrebbero demandato al colonnello Luigi Maiello, sovraordinato della polizia municipale, il compito di organizzare un incontro che si dovrebbe tenere a breve in municipio. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA