«San Gennaro, entra la Curia»: bufera a Napoli sul decreto di Alfano

«San Gennaro, entra la Curia»: bufera a Napoli sul decreto di Alfano
di Pietro Treccagnoli
Domenica 28 Febbraio 2016, 09:26
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Esiste da quasi cinque secoli, quando Napoli era da poco vicereale. Ha sempre fatto da intermediario tra la città e il suo principale patrono, san Gennaro. Interamente laica, perché espressione della città e solo della città, nella sua totalità aristocratica e popolare, ha dovuto, periodicamente, parare i colpi arrivati dalla Curia napoletana che ha sempre provato, nei secoli, a mettere le mani su una reliquia preziosa (con tutti gli annessi e connessi) dall'immenso valore comunicativo, oltre che, per i credenti, spirituale e religioso: le ampolle del sangue del miracolo, il Santo Graal (absit iniuria verbis) della fede dell'intera nazione meridionale. È la Deputazione della Cappella del Tesoro di San Gennaro che dal Cinquecento custodisce il sangue prodigioso.

Sovrintende alle cerimonie del miracolo ed è diventata custode, per conto di Napoli, di tutto quanto riguarda il martire, Cappella e Tesoro compresi, e della quale fanno parte dieci rappresentanti della nobiltà di Seggio, la più antica di Napoli, proveniente dai cinque Sedili; due rappresentanti di quello che fu il seggio del popolo; e il sindaco di Napoli. Ora l'attacco è arrivato a un punto cruciale che potrebbe segnare un passaggio definitivo e, dopo cinque secoli, snaturare completamente il carattere laico di una istituzione che ha attraversato calamità, guerre e rivoluzioni, restando sempre fedele a sé stessa e al mandato firmato davanti a un notaio, nel 1527, quando si stabilì che, in cambio della costruzione della Cappella, san Gennaro avrebbe sempre protetto la propria città. Un autentico contratto con i napoletani. Appena un mese fa nelle mani dei deputati di via Duomo è arrivato un decreto del ministero dell'Interno, a firma di Angelino Alfano, che li ha fatti saltare dalla sedia. «È un testo irricevibile già dalla premessa» spiega indignato Riccardo Imperiali di Francavilla, delegato per gli affari legali.

«Equipara la deputazione a una Fabbriceria e rinomina arbitrariamente gli 11 deputati attualmente in carica, assumendosi un ruolo che non gli compete. Abbiamo tempo per opporci, entro il 4 aprile, ed è quello che faremo per bloccare un autentico fuor d'opera giuridico, amministrativo e storico». La battaglia viene da lontano, ma negli ultimi anni, con l'arrivo a Napoli del cardinale Crescenzio Sepe, ha subito una forte accelerazione per il forte attivismo del prelato che non ha mai fatto mistero della propria voglia di tenere sotto controllo tutto quanto afferisce, anche di striscio, al potere e agli interessi, reali o potenziali, della Curia. Da quando c'è lui, commentano infastiditi molti deputati, ogni occasione è buona per scatenare tensioni tra l'antica istituzione laica e la stessa diocesi.

Per capire, quindi, come si è arrivati a questo snodo cruciale e decisivo, vanno chiariti diversi punti, senza necessariamente addentrarsi in un groviglio giuridico per addetti ai lavori e ai livori.Il punto è la laicità che la Deputazione vuole preservare perché è connaturata all'istituzione ed è una garanzia per i napoletani, autentici «proprietari» del santo (un unicum nel mondo cattolico). Gennaro è, per credenti e non credenti, cattolicamente o paganamente, il primo cittadino di Napoli. Innanzitutto c'e da chiedersi perché sulla natura della Deputazione interviene il Ministero? Quando Ferdinando IV, dopo che il cardinale Ruffo aveva abbattuto la Repubblica Napoletana del 1799, sciolse i Sedili e assunse per sé la carica di presidente della Deputazione, l'assegnazione di questa carica, affidata poi da Murat al sindaco della città, fu prerogativa del sovrano, quindi del presidente della Repubblica e ora del Viminale che si occupa di tutte le «associazioni» analoghe.Ma che cosa contiene il decreto che ha scatenato la reazione dei deputati del santo? Dà per scontato, già nella premessa, che la Deputazione abbia la natura giuridica di una Fabbriceria (anche se tre righi sotto si corregge e contraddice). «C'è una bella differenza» spiega Imperiali di Francavilla.

«E questa premessa è il cavallo di Troia per minare dalle fondamenta la nostra istituzione. Semplificando, una Fabbriceria esercita la sua funzione senza alcuna ingerenza nei servizi di culto, mentre la Deputazione ha una sua natura sui generis di carattere laico che risponde al Ministero e per quanto riguarda il culto intrattiene rapporti direttamente con il Vaticano, attraverso la Curia napoletana». Da questo punto discende una serie di considerazioni che spingono i deputati a respingere al mittente il decreto. Scomparirebbe, in particolare, il diritto al patronato, ovvero quello di nominare, dopo l'approvazione del cardinale, l'abate della Cappella e gli altri prelati, ma soprattutto, la Curia potrebbe designare, come avviene per le Fabbricerie (un'istituzione antica molto diffusa soprattutto in Toscana), un terzo dei deputati. In questo modo, in base a un decreto del 1985 che faceva piazza pulita dei cosiddetti Enti Terzi, consentendo al ministero di avocare a sé le nomine, la Deputazione sarebbe composta, presumibilmente, da otto membri laici e quattro di nomina ecclesiastica. Una porta sbarrata, sostiene Imperiali di Francavilla, per Sua Eminenza che potrebbe condizionare un consiglio non sempre unitario, ma che da tempo va avanti a maggioranza.

Quindi, grazie ad Alfano, la missione di Sepe sarebbe compiuta: addio laicità della Cappella, via questa spina nel fianco alla Curia. 

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