Covid a Napoli, la denuncia: «Mio figlio invalido trattato come un pacco postale»

Covid a Napoli, la denuncia: «Mio figlio invalido trattato come un pacco postale»
di Antonio Folle
Martedì 22 Settembre 2020, 11:11 - Ultimo agg. 11:32
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«Mio figlio Genny, un ragazzo di diciassette anni affetto da tetraparesi spastica, dopo essere stato colpito da un blocco urinario è stato completamente abbandonato dal sistema sanitario che si è eclissato e lo sta trattando come un pacco postale, rimpallandosi la responsabilità delle cure e chiedendo alla famiglia di produrre costosi esami. Ora hanno scoperto che mio padre, che è stato a contatto con noi, ha il Coronavirus e nessuno vuole prendere in carico mio figlio che ha bisogno di cure urgenti per la stomia praticatagli per poterlo nutrire, con il rischio che mio figlio debba finire sotto i ferri». 

È la terribile denuncia di Antonia De Luca, combattiva mamma di Genny, che dal 16 settembre sta lottando per ottenere cure per suo figlio. Una vera e propria odissea, quella del diciassettenne e della famiglia originaria di San Pietro a Patierno, cominciata proprio quando il giovane ha compiuto il diciassettesimo anno di età. Fino a quel momento, infatti, Genny è stato curato con solerzia e perizia dai medici del Santobono che, però, non hanno più potuto assisterlo a causa dei sopraggiunti limiti d'età.
 

 

Alle tre di notte di martedì scorso - come recita anche una denuncia per omissione di soccorso presentata ai Carabinieri - Antonia ha portato d'urgenza suo figlio al CTO a causa di un blocco urinario. Dopo alcune ore e l'applicazione di un catetere il ragazzo viene dimesso mentre, contestualmente, gli veniva prenotata una consulenza urologica all'ospedale Monaldi da svolgersi l'indomani. E qui comincia il dramma. Il medico di turno si sarebbe rifiutato di visitare il ragazzo perchè, come si legge nella denuncia presentata da Antonia, i macchinari del reparto Urologia sarebbero fuori uso. Al ragazzo - notevolmente sofferente a causa del catetere - vengono prescritti una serie di esami e viene invitato a ritornare. 

Antonia ritorna di corsa al Cto dove, però, le viene spiegato che l'ospedale non dispone di un reparto di Urologia e che l'unica cosa da fare è attenersi alla prescrizione dei medici del Monaldi e produrre gli esami prima possibile. Dopo alcune analisi del sangue - ottenute solo dopo un'aspra insistenza - che non rilevano nulla di anomalo, il ragazzo viene formalmente dimesso e mandato a casa. 

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Alcuni giorni dopo comincia la seconda parte dell'odissea per Antonia e la sua famiglia. Nella notte tra sabato e domenica, infatti, al papà di Antonia viene diagnosticata la positività al Coronavirus. «Mio padre - spiega la donna - è stato a contatto con noi e con mio figlio e quindi potenzialmente anche noi siamo contagiati. Adesso Genny ha bisogno di una terapia per la sua stomia, ma ci hanno detto che in mancanza del tampone nessuno si prenderà la responsabilità di curarlo e che portarlo autonomamente in ospedale in queste condizioni è impossibile. Abbiamo chiamato il medico del Santobono che teneva in cura mio figlio e ci ha detto che se entro 48 ore non si interverrà mio figlio sarà costretto a finire sotto i ferri, un arco di tempo assolutamente insufficiente per fare il tempo e attendere i risultati».

Una situazione paradossale che ha spinto Antonia a scendere in strada e a intentare un parziale blocco stradale. Dopo alcuni minuti di caos - gli stessi vicini le hanno imposto di ritornare in casa perchè potenzialmente contagiata dal Covid - sono intervenuti i carabinieri che hanno riportato la calma in attesa degli sviluppi degli eventi. 

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