Tagli a fondi e personale, la Campania ​sempre più giù per cure e liste d'attesa

Preoccupano i dati sulla mortalità e la fuga dei pazienti in strutture del Nord

Assistenza sanitaria, il divario Nord-Sud
Assistenza sanitaria, il divario Nord-Sud
di Ettore Mautone
Sabato 4 Febbraio 2023, 23:50 - Ultimo agg. 5 Febbraio, 20:50
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In Italia, secondo i dati Istat, al Sud si vive un anno e sette mesi in meno che al Nord: primavere di vita perse che in Campania quasi raddoppiano e diventano tre. Non solo: la Campania è anche la regione d’Italia che spende di più in migrazione sanitaria (3,4 miliardi in dieci anni nelle strutture del Centronord) con una flessione registrata solo durante la pandemia. Nel Mezzogiorno i flussi di pazienti in cerca di cura verso regioni diverse da quelle di residenza riguardano l’11,4% dei ricoverati a fronte del 5,6% dei residenti nel Nord-Italia. Se i «viaggi della speranza» sono il dato simbolo dell’arretratezza della sanità del Sud e delle difficoltà che sconta la Campania (al netto delle eccellenze che esistono ma ancora insufficienti a fare rete) la possibilità che il progetto di autonomia differenziata approvato in Consiglio dei ministri sia il rimedio giusto per colmare questo gap, capace di incidere sulle disuguaglianze tra i cittadini, sono in tanti a esprimere perplessità se non una assoluta contrarietà.

Dopo le aspre critiche pronunciate dal presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca e la netta presa di distanza del governatore della Puglia Michele Emiliano, entrambi esponenti di forze di opposizione, anche il governatore della Sicilia Renato Schifani di Forza Italia, pur con alcuni distinguo, ha sottolineato il suo «no a un’Italia a due velocità» dicendosi convinto che prima di tutto sia necessaria una omogeneizzazione degli aspetti infrastrutturali ed economici del nostro Paese. 

Il dato di fondo è che tutto il Sud soffre da anni per qualità e accessibilità dei servizi sanitari ma dopo la pandemia lo scoglio principale, nel Mezzogiorno in misura maggiore ma ovunque nel Paese, è diventato reclutare il personale che serve per presidiare le corsie sia nelle aree critiche dell’emergenza, profondamente rimaneggiate dalla guerra contro il coronavirus, sia per popolare Case e Ospedali di Comunità progettati con i fondi del Pnrr. Questi ultimi concepiti per decongestionare gli ospedali ma privi di copertura per la spesa corrente e per gli stipendi dei camici bianchi.

In questo scenario è chiaro che rendere autonome le Regioni anche nel differenziare gli stipendi di medici e infermieri diventerebbe una pietra tombale sul riequilibrio Nord-Sud e una nuova formidabile spinta a flussi migratori alimentati non più soltanto da malati ma anche da cervelli, medici, primari, specialisti, infermieri e tecnici di cui c’è oggi penuria ovunque. 

A spaventare non sono dunque solo i numeri – agghiaccianti - dei dati relativi alla migrazione sanitaria degli ultimi dieci anni (oltre 1 miliardo all’anno per curare al Nord i cittadini del Sud di cui circa un terzo a carico della Campania per un esborso, dal 2012 al 2021, di oltre 11 miliardi che diventano 14 se si aggiunge il Lazio) quanto da un lato il dato della già grave sottostima storica del fabbisogno di risorse per la Salute per garantire i Lea (Livelli di assistenza): qui la Campania è ultima per assegnazione delle risorse pro capite nonostante sia la terza in Italia per quota di popolazione residente). Dall’altro ci sono i ridenominati Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) aleatori quanto le risorse per assicurarne l’omogeneità a cui si aggiunge la prospettiva che alle difficoltà attuali si aggiunga anche l’emorragia di cervelli attratti da buste paga più sostanziose che solo le Regioni ricche e autonome da vincoli sarebbero in grado di assicurare. «In Sanità, il regionalismo degli ultimi venti anni – sottolinea l’assessore campano al Bilancio Ettore Cinque - è già stato molto spinto. I progetti di autonomia differenziata delle Regioni del Nord puntano oggi soprattutto a intervenire sulla remunerazione del personale sanitario diventato il collo di bottiglia per la sostenibilità dell’intero sistema e la cui disponibilità, in quantità e qualità, farà la differenza nei prossimi anni». 

Insomma, per tutto il Sud sarebbe un disastro. Col nodo cruciale del personale dovranno fare i conti soprattutto i direttori generali delle aziende sanitarie. Antonio D’Amore, manager del Cardarelli di Napoli e vicepresidente della Fiaso, la Federazione nazionale che rappresenta le aziende sanitarie e ospedaliere avverte: «La definizione dei Lea – sottolinea - rimarrebbe ancora in capo allo Stato però i Lea (come i Lep) occorre garantirli in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale e invece l’impressione è che questo punto sia un dettaglio trascurabile». Vista l’incertezza di una spesa procapite omogenea per assicurare la salute ai cittadini c’è il concreto rischio che anche i Lep restino nel limbo delle buone intenzioni. Questo rischio potrebbe minare la coesione sociale del Paese - è il ragionamento delle forze politiche di opposizione - e mentre le regioni più ricche e attrezzate già da anni possono offrire gli extra Lea non essendo in piano di rientro le altre sono sempre più in affanno. L’obiettivo sarebbe dunque poter gestire con meno vincoli proprio il nodo del personale.

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Preoccupato dell’ipotesi dell’azione redistributiva dello Stato legata alla fiscalità generale e alla gestione senza più una compartecipazione nazionale di servizi come quelli erogati dalla sanità è anche Ciro Verdoliva manager della Asl di Napoli tra le più grandi d’Italia: «Bisognerebbe partire dall’analisi delle motivazioni reali per le quali il Sistema sanitario nazionale oggi non riesce a essere adeguato alla domanda dei cittadini. Basti pensare che le regioni (tutte del Sud) che ricevono meno risorse per la salute rispetto alla popolazione residente (e la Campania è ultima) scontano una maggiore mortalità per tutte le cause. Evidentemente le risorse attribuite a ciascun cittadino per ricevere cure sanitarie sono storicamente direttamente proporzionali ai migliori esiti. Il cambiamento deve essere migliorativo e non peggiorativo e comunque adeguato ai diversi contesti regionali - aggiunge Verdoliva - Con un’inflazione alle stelle come si possono accettare pochi spiccioli di aumento, tra l’altro in un frangente nel quale lo sforzo e l’impegno è moltiplicato oltre ogni misura?».

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