Sant'Eligio, tipografia all'asta divorata da umido e ruggine

Sant'Eligio, tipografia all'asta divorata da umido e ruggine
di Giuliana Covella
Giovedì 26 Aprile 2018, 08:37 - Ultimo agg. 09:39
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«Dopo 10 anni siamo ancora invischiati nella burocrazia. Il Museo-laboratorio comunale di arte tipografica voluto dal sindaco è rimasto al palo e non riesce a partire. Se qualcuno delle istituzioni ci potesse dare una mano ne saremmo molto riconoscenti». Così scriveva Enzo Falcone in una e-mail alla Direzione Patrimonio del Comune lo scorso 13 marzo. Un ultimo, disperato, appello per tentare di salvare una delle botteghe storiche (nata nel 1922) del Borgo di Sant'Eligio, dove ormai le macchine da stampa sono arrugginite dall'umidità. Da qui la decisione di Falcone, che getta la spugna e annuncia: «Metto all'asta tutto, perché il Comune mi ha abbandonato. Anziché buttare via quello che dovrebbe essere considerato un patrimonio per la collettività e soprattutto per i giovani che vogliono imparare questo antico mestiere, che doveva diventare il Museo-laboratorio dell'arte tipografica a Napoli, lo regalo. Dato che l'amministrazione comunale non ha approvato nemmeno la delibera con cui dovevano essermi assegnati i locali dove oggi io sono, di fatto, un abusivo». 
 
Falcone, 85 anni, titolare della bottega Arti Tipografiche al borgo da ben 96 anni lancia così una provocazione a Palazzo San Giacomo che, dopo averlo sfrattato nel 2007 dai locali di via Duca di San Donato 69 per far posto alla Bulla (incubatore d'imprese del Polo orafo napoletano in quattro piani inaugurato nel 2010), gliene ha assegnati altri ai civici 61/63 della stessa via nel maggio 2017. In pratica dieci anni dopo. Ma con mille problemi: anzitutto non è mai stata fatta una delibera di assegnazione; nei locali non c'è corrente elettrica, né sono stati fatti lavori di ristrutturazione; c'è umidità ovunque; finanche il bagno era sbarrato da una porta di ferro «che io stesso ho dovuto abbattere per usufruirne», spiega Falcone e, fatto più grave, le antiche macchine tipografiche rischiano di essere ridotte a ferraglia dalla ruggine. «Ora dalla Direzione dei Beni artistici del Comune mi chiedono l'autocertificazione per ogni macchinario per poter procedere alla regolarizzazione. Documentazione che ho inviato, ma tutto è fermo e io non posso più lavorare. Se nulla si muoverà una tra le botteghe più antiche di Napoli rischia di scomparire per sempre».
 
Nei locali in via Duca di San Donato, una strada che un tempo era famosa per le botteghe artigiane e che ora è semi deserta, con decine di saracinesche abbassate da decenni, c'è buio pesto a metà mattina. «Siamo senza corrente elettrica da quando ce li hanno assegnati - spiega Falcone - come faremmo a lavorare? Ormai mi sono indebitato e sono ancora legato a quest'attività e a questi materiali solo perché è un'arte che mi ha tramandato mio padre da bambino. Io stesso avrei voluto trasmetterla ai giovani, ma la sordità delle istituzioni me lo ha impedito».

Tra i macchinari, veri e propri reperti, alcuni sono imballati in un deposito a Pomigliano d'Arco «perché qui non c'entrava tutto»: una Pedalina Saroglia del 1923 (quella di Totò nel film La banda degli onesti); una Ideal 30 Nebiolo del 1945; una Felix Saroglia del 1932 e una Graphopress Kovo del 1960. Oltre a 10 banchi con casse di caratteri mobili con quintali di piombo, legno e plastica; filetti; marginature; centinaia di disegni e bozzetti eseguiti a mano, fatture di fornitori degli anni 20-30 e tanti altri accessori. Sull'argomento si è riunita la commissione comunale Cultura, a cui hanno partecipato, per l'assessorato al Commercio e alle Attività produttive, Ovidio  Attanasio e Giovanni Piombino. «Almeno per il momento - ha spiegato Attanasio - è stata assicurata a Falcone la possibilità di fruire dei locali come deposito, in attesa che si perfezionino le procedure burocratiche connesse alla donazione ma anche alle modalità della futura gestione da parte del Comune, tutti elementi che dovranno essere chiariti in un'apposita delibera».
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